L'Editoriale / Bergamo Città
Sabato 20 Luglio 2019
Governo, basta
un soffio per cadere
Tutti dicono e scrivono che la crisi «è congelata». E cioè che, dopo le terribili ventiquattr’ore di giovedì in cui il governo è stato ad un centimetro dal baratro, ora sembra che si sia fermato sul ciglio. Non va né avanti né indietro, rimane in bilico nel vuoto: Di Maio e Salvini per un giorno abbassano di un tono le loro furenti polemiche. La domanda è: quanto potrà durare questa situazione? Poco, è la risposta. Perché i nodi restano tutti irrisolti. Ieri per esempio si sono avuti dissensi fortissimi tra leghisti e grillini su due temi vitali: l’autonomia regionale e la squadra di governo. Non cose da poco, come si vede.
Sull’autonomia il compromesso cui si sarebbe finora arrivati a Palazzo Chigi non piace ai governatori del Veneto e della Lombardia, al punto che Fontana ha minacciato di non firmare una riformicchia e Zaia ha esclamato di averne le tasche piene. Perché? Perché la Lega non ha avuto soddisfazione nella richiesta di estendere le competenze regionali anche al sistema dell’istruzione cui il M5S è sempre stato nettamente contrario temendo divaricazioni troppo forti tra Nord e Sud. Insomma, un confronto che fa dei passetti in avanti al rallentatore, ora ne ha fatto uno nella direzione che la Lega, madre della riforma, rifiuta.
Altro esempio, il rimpasto di governo. Una volta che Salvini ha stemperato un po’ le polemiche con Di Maio, se l’è presa con due ministri che da tempo sono oggetto delle sue critiche: Toninelli (Trasporti e Opere pubbliche) e Trenta (Difesa). Rimproverando all’uno di aver bloccato centinaia di cantieri e, da ultimo, la Gronda di Genova; e all’altra di mandare per mare le navi della Marina militare tanto da indurre gli scafisti a mettere in mare le loro barche piene di disperati, Salvini ha di fatto chiesto le dimissioni di entrambi. Ha cioè messo di nuovo sul tavolo il tema del rimpasto. È stato Conte in persona a rispondergli con un no tutto maiuscolo: «Io difendo tutti i miei ministri», ha dichiarato il presidente del Consiglio notando che finora non ha ricevuto alcuna richiesta formale di sostituzione di ministri. La risposta leghista è stata furibonda: l’accusa a Conte è di non essere un premier super partes ma di stare troppo dalla parte del partito che lo ha voluto su quella poltrona, il Movimento Cinque Stelle.
Per tutta risposta, i grillini hanno a loro volta criticato due ministri della Lega – Bussetti alla Pubblica Istruzione e Centinaio all’Agricoltura – che secondo loro andrebbero sostituiti perché inefficienti. Stallo: sulle riforme, sul decreto bis, sul rimpasto, sui rapporti con l’Europa. Dopo che all’Europarlamento grillini e leghisti si sono clamorosamente divisi nel voto sulla nuova presidente della Commissione con reciproche accuse di «tradimento» e di «poltronismo», ora si tratta di gestire la partita della nomina del commissario che dovrà essere attribuito all’Italia. Doveva essere leghista – candidato numero uno Giancarlo Giorgetti, ma si è tirato indietro – e doveva occupare una poltrona importante, per esempio la Concorrenza. Ma la Von der Leyen non nominerà l’esponente di un partito che le ha votato contro. E non è neanche escluso che a questo punto all’Italia non vada il posto cui ambirebbe. Potrebbe provarci un grillino? Gli interessati si tirano indietro, proprio come Giorgetti. Probabilmente si finirà per scegliere ad un tecnico, preferibilmente donna. Ma a Bruxelles e Strasburgo resterà l’idea di un Paese, l’Italia, che per le divisioni del proprio governo si indebolisce e finisce all’angolo. Tanto più un Paese che viene messo sotto osservazione dagli alleati per la questione dei rapporti tra la Lega e la Russia di Putin. Insomma, sul ciglio del burrone si sta scomodi, ed è molto facile cadere giù. A questo punto, basta un soffio.
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