Governo ad alta tensione con Lega e Forza Italia, ma rompere non conviene

ITALIA. Lega e Forza Italia, nutrendo l’ambizione di rappresentare rispettivamente l’estrema destra e il centro, si sono condannate a tenere alta la tensione, senza rompere.

C’è un cambio di passo che il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, sta cercando di imprimere al partito. Bisogna dire che se il leader di Forza Italia si è deciso a compiere il gran passo, lo ha fatto - come dire? - tirato per i capelli. Prima Marina, poi Pier Silvio, insomma la famiglia Berlusconi nella sua qualità di azionista di riferimento del partito, fondato dal padre di cui è tuttora una generosa finanziatrice, ha dato la sveglia. Ha strigliato i suoi vertici perché la finiscano di giocare in difesa e si decidano a passare finalmente all’attacco. Immediatamente dopo, alcuni dirigenti azzurri, non di seconda fila, hanno rotto il silenzio che Forza Italia s’era imposto dopo la morte del fondatore.

Hanno osato sfoderare una serie di richieste, se non direttamente al governo, certo alla maggioranza. Riguardano di preferenza i cosiddetti temi sensibili, relativi cioè alla sfera dei diritti della persona (come l’integrazione dei richiedenti asilo, il trattamento dei carcerati e il controverso ius scholae) ma, non meno, temi politici particolarmente delicati, come quello per eccellenza divisivo dell’autonomia differenziata.

Il più puntuto è stato Giorgio Mulé. Ha sbottato con i suoi partner rivolgendo loro la domanda che ha suonato come un ultimatum: a che serve stare al governo se non incidiamo?

Inutile dire che l’opposizione ha colto la palla al balzo. Si è affrettata a fare da sponda a Forza Italia, col fin troppo palese intento di allargare la crepa apertasi nel centrodestra. Abbiamo avuto così un’estate politicamente calda che preannuncia un autunno a sua volta altrettanto, se non più, caldo.

Hanno cominciato addirittura a circolare voci di una possibile crisi di governo. Improbabile, però, semplicemente perché a nessuno dei partiti di governo conviene. Chi si rendesse responsabile di una fine anticipata della legislatura - l’esperienza insegna - pagherebbe un conto salato.

Non è un caso che tutti i partner di maggioranza si sbraccino a rassicurare gli alleati sulla loro lealtà alla coalizione.

Nessuno vuole rompere, ma nessuno (salvo ovviamente il partito della premier) vuole abbassare i toni della polemica, tanto meno sgomberare il campo dai motivi di contrasto. In un governo di coalizione, è scontato che i partner minori siano portati a marcare la loro presenza, sollevando questioni se non vogliono finire nel cono d’ombra del partito dominante.

Nell’attuale situazione, creatasi dopo il voto europeo di giugno che ha sancito l’affossamento del progetto del cosiddetto Terzo polo, si è aperto un vuoto al centro che è interesse di Forza Italia occupare.

L’elettorato centrista può fare la differenza alle elezioni e i due poli fanno il possibile per accaparrarsene la rappresentanza. Tajani dunque s’è svegliato. Ha sollevato tutti i problemi che trovano udienza presso quel «ceto medio riflessivo» che ha particolare sensibilità per i temi post-materialistici, legati cioè alla «qualità della vita».

Può darsi che dello ius scholae, diventato il tema più caldo dell’estate, non se ne faccia nulla. Non per questo verranno meno le divergenze all’interno della maggioranza.

Lega e Forza Italia, nutrendo l’ambizione di rappresentare rispettivamente l’estrema destra e il centro, si sono condannate a tenere alta la tensione, senza rompere, a meno che la corda, troppo tesa, finisca per saltare.

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