L'Editoriale
Giovedì 01 Settembre 2022
Gorbaciov e putin Mondi distanti
Dopo il lutto, i bilanci. Ed è fin troppo facile, passata la prima emozione per la scomparsa, compilare a carico di Mikhail Gorbaciov l’elenco degli errori e dei risultati mancati. Ma per apprezzare i sei anni tumultuosi (1985-1991) del provinciale di Stavropol’ diventato giovanissimo segretario generale del Pcus, quindi l’uomo più potente dell’Urss (a 54 anni, secondo solo a Stalin che ne aveva 47), non occorre una gran cultura storica.
Basta guardarsi intorno e fare qualche confronto. La Russia e il resto del mondo. Quella di Putin è impegnata non solo in una guerra in Ucraina ma anche in uno scontro politico, economico, militare e culturale con l’Occidente che la spinge sempre più verso Est. L’Urss di Gorbaciov ritirò le truppe dall’Afghanistan e dall’Europa dell’Est e abbandonò il Muro di Berlino, avviando una stagione di distensione e anche, più concretamente, di disarmo convenzionale e nucleare ora quasi del tutto cancellata. Gorby, come ci piaceva chiamarlo, desiderava la pace. Ma era anche consapevole che perestroyka e glasnost’, le due direttrici principali della sua ambizione riformatrice, potevano essere perseguite solo uscendo dallo stallo della Guerra fredda, che consumava enormi risorse, arrivando a una composizione dei rapporti con l’Occidente. Ma non solo. I giornali cinesi, che oggi danno del sognatore e dell’illuso a Gorbaciov, dovrebbero ricordare che fu proprio il suo viaggio a Pechino nel 1989 ad avviare la normalizzazione delle relazioni tra i due giganti del socialismo reale. Anzi: gli studenti cinesi che gridavano «perestroyka perestroyka» in piazza Tien An Men davanti ai carri armati avevano la vista lunga, perché se c’è un Paese che ha fatto la perestroyka alla propria economia quello è proprio la Cina.
L’economia, appunto. Nel 1988 Gorbaciov aveva riaperto le porte alla proprietà privata con la legge delle cooperative, una rivoluzione che in Russia non si vedeva da quando, nel 1921, Lenin aveva varato la Nuova politica economica. Oggi le statistiche dicono che il 40% dei russi è tornato a vivere di Stato, tra dipendenti pubblici, pensionati, militari, e con il fiume di sussidi e bonus assortiti che assorbe tanta parte (c’è chi valuta addirittura il 50%) della spesa pubblica russa. E poi la glasnost’, la trasparenza della vita politica e dei processi decisionali. Vogliamo tentare un confronto? Oggi la Russia persegue un sempre maggiore accentramento dei poteri nella figura del Capo (in questo caso Vladimir Putin, che resta saldo al potere e gode anche di notevole seguito tra i russi) e proprio per questo è stata varata, nel 2020, una riforma della Costituzione che gli consente in pratica di governare a vita. Gorbaciov nel 1990 divenne il primo e ultimo presidente dell’Urss per scelta di un Congresso dei deputati del popolo che era stato formato con elezioni democratiche e sulla base del multipartitismo. Per non parlare della libertà di parola e di espressione, che fu quasi una bandiera della stagione gorbacioviana, tanto da dar vita a decine di pubblicazioni vivaci e grintose (per un certo periodo fu imperdibile, con le sue inchieste irriverenti, la Komsomol’skaya Pravda, ch’era stata l’organo ufficiale delle gioventù comunista). Oggi i media russi sono allineati e coperti sulle decisioni del Cremlino e lo spettro delle leggi emergenziali (chi critica la guerra in Ucraina rischia fino a cinque anni di prigione) ha fatto fuggire all’estero centinaia di giornalisti.
La cosa più straordinaria è che molti, in Russia ma non solo, pensano che Gorbaciov sia stato il killer dell’Unione Sovietica, il suo carnefice. E non ricordano che prima di lui, tra il 1982 e il 1984, al vertice del Paese c’era Jurij Andropov, l’ex capo del Kgb. E che anche lui, che ben conosceva gli angoli più riposti, vedeva un Paese in crisi e voleva cambiare le cose, tanto che in un anno e poco più cacciò 18 ministri e decine di funzionari del Partito, al centro e in periferia. Come lui, Gorbaciov amava l’Urss e voleva salvarla, cambiandola. Tanto che ancora nel 1991, quando già le cose gli sfuggivano di mano e il golpe era alle porte, organizzò un referendum per chiedere ai concittadini se volevano conservare l’Urss, ottenendo un 77,85% di sì. Un’illusione la sua, come dicono i cinesi? Forse sì. Ma una cosa è certa: per sei anni i russi e gli occidentali hanno pensato di poter vivere in un mondo migliore. Oggi, che non ci illudiamo più, che cosa pensiamo del futuro di tutti?
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