Gli interessi dei partiti e quelli di coalizione

ITALIA. Le elezioni suscitano sempre grandi attese. Figurarsi in un Paese come l’Italia che vive come fosse sospesa in una perenne campagna elettorale.

Mai, però, l’attesa si è fatta così nervosa come in vista del voto europeo del prossimo giugno. Lo si è visto anche l’altro ieri in occasione del voto parlamentare sul Meccanismo europeo di stabilità. Ben più del merito del provvedimento in discussione, ai partiti stava a cuore accontentare il loro elettorato. L’attenzione di tutti è puntata sul verdetto delle urne che si augurano sia confortante non solo per sé, ma anche per la coalizione di cui ciascuno fa parte. Conciliare i due obiettivi non è però facile. Può darsi infatti che perseguire l’uno faccia male all’altro o che perseguirli insieme faccia male ad entrambi.

Rientra nel primo caso il centrodestra. Non è ancora chiaro se Meloni si presenterà capolista in tutti i collegi elettorali. La tentazione è forte. Sarebbe un’occasione d’oro per Fratelli d’Italia. Il partito del premier farebbe il pieno di voti. C’è un però, comunque. Una sua discesa in campo rappresenterebbe una grave minaccia per i partner della coalizione. Il suo nome apposto in testa alla lista provocherebbe di certo un drenaggio di consensi a suo favore e quindi un danno a loro. Insomma, l’interesse di un singolo confliggerebbe con quello dell’insieme.

Il caso in cui l’interesse di partito e quello di coalizione si danneggiano l’un l’altro riguarda l’opposizione. A sinistra non c’è un partito dominante che si possa arrogare a buon titolo il diritto di guidare la coalizione. Pd e M5S hanno più o meno la stessa forza e nessuno dei due è disposto ad accordare all’altro il ruolo di federatore. Eppure, la creazione di un polo di sinistra resta irrinunciabile, per quanto oneroso.

Irrinunciabile, perché o l’opposizione riesce a costruire una salda coalizione oppure il suo destino è segnato. Dovrebbe rinunciare a costruire un’alternativa alla destra. Oneroso, perché nessun partito ha da guadagnare dall’assumere il compito del federatore.

Azione di Calenda dovrebbe fare addirittura Karakiri. È nata per superare il bipolarismo. Non può quindi farsi fagocitare da uno dei due poli. A sua volta, il partito di Conte, se non vuole ridursi a junior partner del Pd, deve difendere con i denti e con le unghie - come in effetti sta facendo - la sua ambizione di diventare, lui unico, il contraltare della destra.

Infine, il Pd. Questi sta già vivendo in prima persona la difficoltà di conciliare interesse di partito e interesse di coalizione.

Domenica scorsa, al meeting sull’Europa, Prodi ha rilanciato l’idea che la Schlein assuma il ruolo di federatrice della sinistra. Un augurio, il suo, che dà maggior forza alla segretaria del Pd, ma che al contempo la pone di fronte a scelte gravide di pericoli. Questi provengono da ben due fronti, dal partito e dalla coalizione.

A parte il fatto che non è ancora riuscita a federare «i capibastone» (parole sue) del suo partito, c’è da chiedersi come potrebbe conciliare il suo standing di pasionaria della sinistra con il ruolo di federatrice di una coalizione. Il rischio è che finisca dalla padella nelle braci. Se lascia scoperto uno spazio a sinistra, fa un regalo a Conte, ben contento di prenderselo.

Né può la Schlein mettersi capolista alle europee per fare da traino al suo partito perché brucerebbe ogni possibilità di farsi federatrice della coalizione. Non può essere il capo di una parte l’interprete di tutti.

Sono, questi, i tanti nodi che partiti e coalizioni sono chiamati a sciogliere prima di sottoporsi al giudizio degli elettori. Sarà quello il momento della verità e i partiti devono stare ben attenti a non sbagliare perché non sono, i nostri, tempi in cui si respiri aria di condiscendenza verso di loro.

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