Gli equilibri della politica mondiale passano anche dal congresso del Pc cinese

Sarà il Congresso Pc della conservazione o quello della svolta? Del proseguimento dell’attività dei soliti noti o dell’apertura alle nuove generazioni? La Cina porrà le basi per continuare nella sua ascesa planetaria, ultimamente frenata dal Covid e dal rallentamento della globalizzazione, oppure l’«Impero celeste» è già giunto all’apogeo delle sue possibilità?

Tanti sono gli interrogativi che si pongono da mesi gli esperti. L’unica cosa certa, a meno di sorprese, è che il 69enne Xi Jinping verrà confermato alla guida del Partito comunista cinese in qualità di Segretario generale. Il suo sarà uno storico terzo mandato: mai in precedenza nessuna altra personalità, a parte il «timoniere» Mao Zedong, aveva ottenuto un tale riconoscimento.

Xi ricopre al momento tre cariche chiave: appunto quella di Segretario generale, quella di capo della Commissione militare centrale e quella di Presidente della Cina. Quest’ultima gli verrà presumibilmente riconsegnata, dopo aver fatto cancellare il limite costituzionale dei due incarichi nel 2018, al Congresso Nazionale del Popolo, che si tiene ogni anno ed è previsto nel prossimo marzo.

La riconferma di Xi alla direzione del Pc, invece, viola la norma - seguita prima da tutti i precedenti leader cinesi - di uscire di scena dopo 10 anni o dopo l’espletamento di due mandati completi.

Siamo pertanto giunti alla fase della «stabilità», per dirla alla moscovita? Oppure all’occupazione del potere, per dirla all’occidentale? I risultati nefasti del mancato ricambio della leadership in Russia, ad esempio, sono davanti agli occhi dell’opinione pubblica internazionale. Negli ultimi mesi Xi ha pigiato il tasto sull’acceleratore del nazionalismo interno anche grazie alla questione di Taiwan, tentando così di nascondere il disastro economico seguito alla strategia di «zero casi di Covid» con milioni di persone recluse in casa per mesi, e cercando di celare i grossi guai finanziari del settore privato, in particolare di quello edile col buco da 300 miliardi di dollari della Evergrande. Ma quanto potrà durare questo giochetto?

Grazie agli enormi capitali a disposizione, finora, il potere centrale è riuscito a controllare il regionalismo cinese, uno dei talloni d’Achille da sempre dell’«Impero celeste». Cosa succederà, però, se da Pechino non dovessero arrivare nelle province le solite piogge di yuan?

Come ogni 5 anni a Pechino giungeranno 2.300 membri del Partito comunista da tutto il Paese. Nell’arco di una settimana essi eleggeranno i 200 delegati del Comitato centrale, che poi selezionerà i 25 del Politburo tra cui 7 super-membri del Comitato politico permanente. Secondo gli specialisti è fondamentale la scelta proprio di questi 200 nuovi eletti – la cui elezione non è affatto scontata –. Saranno loro a decidere per il prossimo quinquennio la politica economica, sociale, di sicurezza cinese. O perlomeno così dovrebbe essere.

In politica estera Pechino si appiattirà sulle posizioni anti-occidentali di Mosca, spingendo per un asse contro europei e americani? Oppure si privilegeranno più miti consigli, non dimenticando che alla base del boom cinese vi è il trasferimento di tecnologie e know-how dall’Ovest? Difficile dare oggi delle risposte a priori. Comunque sia, se le aspettative della vigilia saranno confermate, questo – il ventesimo - sarà il Congresso dell’investitura del «Pensiero di Xi» e della sua elevazione allo stesso rango di Mao o quasi. Sarà solo il futuro prossimo a rivelarci quanto pericolosa o vincente è stata per i cinesi questa scelta. Per ora non resta che osservare.

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