Gli ebrei sotto tiro
nell’Europa inerte

L’ultimo attacco antisemita in ordine di tempo è avvenuto a Vienna. Per la terza volta atti di vandalismo hanno preso di mira la mostra del fotografo italotedesco Luigi Toscano, dedicata ai sopravvissuti alla Shoah e intitolata «Contro l’oblio». I pannelli prima sono stati sfregiati con svastiche e poi tagliati e strappati. La mostra non è in un luogo periferico e poco frequentato della capitale austriaca ma nella centrale e sorvegliatissima Ringstrasse. Ora per proteggere le foto dopo il terzo attacco sono state organizzate ronde giovanili promosse dall’associazione degli artisti Nesterval, dalla Caritas e dalla comunità islamica di Vienna.

La scorsa settimana il commissario del governo tedesco per l’antisemitismo, Felix Klein, ha suggerito agli ebrei di non indossare la kippah in pubblico, perché l’uso del tradizionale copricapo ebraico potrebbe causare loro «danni potenziali». L’invito è arrivato nel corso di un’intervista al gruppo editoriale Funke: Klein ha attribuito la crescita delle manifestazioni antisemite a internet e ai social media che fanno cadere i freni inibitori, e alla progressiva rozzezza dei comportamenti nella collettività.

Il richiamo a non portare la kippah è apparso un grave segno di debolezza dello Stato, incapace di contenere episodi di antisemitismo sempre più frequenti, come ha ammesso la cancelliera Angela Merkel, denunciando come la Germania abbia sempre avuto «un certo numero di antisemiti purtroppo» e «il ritorno di cupi spettri del passato in Europa. Oggi nel nostro Paese non c’è una sola sinagoga, un solo asilo o una sola scuola per bambini e ragazzi ebrei che non abbia la necessità di essere sorvegliata dalla polizia». È l’ammissione di una verità gravissima. Del resto un sondaggio recentemente condotto in Europa dalla «Fundamental rights agency» ha rivelato che la maggior parte degli ebrei ha paura di essere riconosciuta come tale. Il 30% degli intervistati ha detto di avere ricevuto molestie e proprio in Germania la situazione è più grave, con una crescita del 20% degli episodi antisemiti tra il 2017 e il 2018 e un aumento del 60% degli attacchi violenti. In Francia le manifestazioni pubbliche di antisemitismo sono salite a 541 dalle 311 del 2017, ma in Germania hanno raggiunto la cifra di 1.646, la più alta da 10 anni.

Cimiteri e tombe ebraiche profanate con le svastiche, aggressione ad ebrei, omicidi, attentati terroristici come quello jihadista del 2015 nel supermarket kosher di Parigi, scritte «Juden» su negozi in Francia, dove si sono registrati 4.092 attacchi nel periodo 2005-2015. Fatti che non ci possono non inquietare e che non vanno assolutamente messi in connessione con l’irrisolta questione palestinese. Così come criticare Israele non significa condividere posizioni antisemite, altrettanto non si deve dare alcuna giustificazione agli atti contro gli ebrei, un popolo che ha già sofferto abbastanza.

In Italia su Facebook circola una teoria cospirazionista secondo la quale dietro all’immigrazione diretta in Europa ci sarebbe il magnate ebreo George Soros, che finanzia ong impegnate nel salvataggio di naufraghi nel Mediterraneo: ma non è chiarito quale sarebbe il fine di questa bislacca teoria. Ancora in Italia compaiono svastiche sui muri e ci sono due movimenti politici e sociali, Forza Nuova e Casa Pound, che inneggiano al fascismo. Ma non siamo al ritorno della dittatura nera, come spiega bene lo storico Emilio Gentile nel saggio «Chi è fascista».

Gli ebrei in Europa si trovano stretti tra due fuochi: i gruppi neonazisti, che agiscono soprattutto a nord del continente, e i fondamentalisti islamisti, in particolare in Francia. Da qui 100 mila ebrei sono emigrati dal 2000 ad oggi, diretti non solo in Israele. Il ministro dell’Interno d’Oltralpe, Christophe Castaner, ha detto: «L’antisemitismo si diffonde come un veleno, un fiele. Attacca, marcisce le menti, uccide». È un incubo che si risveglia nel continente dell’Olocausto: l’obiettivo di spegnerlo deve essere fra le priorità della nuova Europa.

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