Giustizia, la riforma e il circo mediatico

Una delle partite principali del governo di Mario Draghi impegnato ad attuare il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) per ottenere i fondi europei del Recovery Plan sarà quella della riforma della Giustizia: processo penale, processo civile, amministrazione giudiziaria e Csm. Il corposo dossier è in mano a Marta Cartabia, ex presidente della Corte Costituzionale e candidabile al Quirinale del dopo Mattarella, che ieri incontrando i capigruppo parlamentari ha detto parole molto nette sui giudici («Da rifondare il rapporto tra magistratura e popolo»), sulle riforme («Le più urgenti e improcrastinabili») sugli obiettivi da perseguire («Indipendenza, imparzialità, efficienza») sugli atteggiamenti da cambiare tra i giudici («seguire chi agisce con professionalità e riserbo»).

I parlamentari hanno presentato una montagna di emendamenti, circa 400, che potrebbero modificare anche molto il testo elaborato dalla commissione istituita nel ministero di via Arenula e presieduta dal costituzionalista Massimo Luciani. Un testo che piace al Pd ma scontenta in quasi egual misura sia i partiti a impianto giustizialista (i 5 Stelle) sia quelli più garantisti (Forza Italia) mentre la Lega ha deciso di prendere una strada tutta sua presentando con i Radicali sei quesiti referendari sull’ordinamento giudiziario. Non sono pochi quelli che criticano Matteo Salvini per un’iniziativa di questo tipo per la quale, contraddittoriamente, da una parte il Carroccio, come partito di governo, collabora con la Cartabia alle riforme, e nello stesso tempo, come se fosse all’opposizione, si appella al popolo sovrano mediante referendum. La mossa serve a mantenere sotto tiro proprio le iniziative della ministra.

Del resto, le questioni aperte sono ancora parecchie: basti pensare alla riforma della prescrizione a suo tempo approvata dal Parlamento a maggioranza giallo-rossa sulla base del testo grillino (soprannominato «del processo a vita») di Alfonso Bonafede. Nello stesso M5S c’è fermento su questo argomento: quando Luigi Di Maio ha chiesto scusa all’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti per averlo ingiustamente sottoposto alla gogna per accuse risultate poi insussistenti, non a caso Giuseppe Conte ha ribattuto che «il Movimento non tradisce le sue origini» e che dunque la prescrizione modello Bonafede «non si tocca». Un nodo non facile da sciogliere dal momento che due terzi della maggioranza quella riforma la vuole semplicemente cancellare.

Poi c’è la riforma del Csm: lo strumento della scelta per sorteggio, considerata la più adatta a smantellare il nefasto mondo delle correnti della magistratura, non è però la principale scelta della commissione ministeriale. E allo stesso modo a chi chiedeva di chiudere le porte della politica ai magistrati, si risponde non con un divieto ma con limitazioni, ancorchè forti. Tutti motivi di scontro che si riflettono nella battaglia politico-giudiziaria di ogni giorno: del caso Uggetti e dei suoi strascichi si è già detto ma basti citare anche l’inchiesta sull’accoglienza dei migranti che a Bergamo perde pezzi (già archiviate più della metà delle posizioni prese in esame) sbugiardando l’accusa della Lega di essere «un business». Intanto chi è stato chiamato in causa nell’indagine e ne è uscito pulito ha pagato un prezzo salato, essendo oggetto di sospetti (infondati) e maldicenze. Il rischio del meccanismo politico-mediatico-giudiziario che entra come uno stritolatore nel confronto tra i partiti è sempre in agguato, ed è proprio a questo sistema - da abbandonare una volta per tutte - che si riferiva la ministra Cartabia spingendo i politici ad approvare le riforme «più urgenti e improcrastinabili».

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