Giustizia efficiente, non si aspetti l’Europa

IL COMMENTO. Nell’indice di percezione della corruzione, su cento punti, fatta la media di 50, la Finlandia è in cima alla classifica con la Danimarca, seguita dalla Nuova Zelanda con 87 punti. L’Italia è a quota 56, sei punti sopra il minimo sindacale. La cosa interessante è che meno corrotto è un Paese e più alto è il ricorso ai tribunali. Nelle classifiche il primo posto è occupato dalla Danimarca, mentre l’Italia, che pur ha nomea di Paese dalla denuncia facile, è in basso alla classifica.

Chi ha fiducia nei giudici e nella procedura ricorre con facilità al giudizio ritenuto imparziale. La giustizia in Italia è invece campo di contrapposizione tra giustizialisti e garantisti. Le proposte di eliminazione dell’abuso d’ufficio e della ridefinizione del traffico di influenze di fatto fanno resuscitare una divisione ideologica del Paese che ha preso il posto di quella tra comunisti e anticomunisti venuta meno con la caduta del muro di Berlino.

In questa mai sopita rivalità tra chi è «per» e chi è «contro» si condensa la vocazione al litigio ma quasi mai la soluzione del problema. Che nel caso dei ritardi della giustizia si esprime più in fatti che non in polemiche: informatizzazione dell’apparato giudiziario, più personale alle cancellerie, più giudici. E potremmo dire anche più carceri moderne, efficienti e dove la condizione del detenuto trovi rispetto della sua dignità umana. In Europa tutte cose che si sanno. Nella valutazione Ue sulla giustizia in Italia del 2020 si sottolinea la necessità di migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e il funzionamento della pubblica amministrazione. Si suggeriscono anche i rimedi: in molti Stati membri si ottengono ottimi risultati con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione anche ricorrendo all’intelligenza artificiale. È il linguaggio dei fatti. Un discorso che sembra annoiare molti addetti ai lavori. L’aridità dei numeri toglie humus alla polemica politica. Andrebbe coltivata questa cultura istituzionale da chi ricopre incarichi di prima grandezza. Non a caso l’eccessivo formalismo adottato dalla Corte di Cassazione nella decisione dei ricorsi viene criticato in sede europea. La vocazione all’azzeccagarbugli è parte integrante di una certa cultura giuridica italiana.

L’indice di «Trasparency International» si misura sulla percezione ed è quindi legato a sensazioni, impressioni e quindi non ha valore scientifico in sé e per sé. L’Istat per contro ha fatto nel 2018 un’indagine per verificare l’esperienza diretta con il fenomeno. Il risultato è che quasi l’8% degli italiani ha avuto a che fare con la corruzione. Il problema esiste e si potrebbe ignorarlo se le considerazioni fatte all’estero fossero ritenute lesive della reputazione nazionale. Ma non si può. Per il semplice motivo che l’Italia riceve dall’Europa 191,4 miliardi di euro dei quali 68,9 come sovvenzioni . Soldi che mai sarebbero entrati nella disponibilità della Repubblica italiana se gli altri 26 Stati dell’Ue non avessero concordato di ricorrere al mercato internazionale per finanziare il Next generation Eu. Va da sé che chi fornisce denaro chieda che venga speso in modo corretto. Dopo gli scandali venuti a galla con l’inchiesta Mani Pulite la politica italiana ha vissuto Rimborsopoli: 300 consiglieri regionali che utilizzavano denaro dei contribuenti per spese private non consentite.

E se vogliamo guardare con occhio critico il recente passato dobbiamo constatare che lo scandalo all’Europarlamento vede protagonisti di primo piano deputati italiani. Da qui l’occhio attento del Recovery and resilience task force che risponde direttamente alla presidente Ursula von der Leyen. La domanda: non è forse il caso di occuparci noi italiani dei nostri risaputi difetti e prevenire con norme adeguate?

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