Giornalista condannato, la Russia fa ostaggi

MONDO. Ha oltrepassato, per sbaglio o per ingenuità, una delle cosiddette «linee rosse» oppure ha osato superarle a sprezzo del pericolo.

Evan Gershkovich è stato condannato a 16 anni di reclusione per spionaggio. Il corrispondente del quotidiano americano «Wall Street Journal» era andato a mettere il naso nel marzo 2023 ad Ekaterinburg sugli Urali, uno dei centri di reclutamento della compagnia mercenaria «Wagner», quella che, tre mesi dopo, si rese protagonista della clamorosa sollevazione contro il Cremlino. Il giovane giornalista statunitense cercava probabilmente collegamenti tra i «musicanti» di Evghenij Prigozhin e lo Stato russo, per anni negati dalle fonti ufficiali, ma poi resi pubblici dallo stesso Vladimir Putin all’indomani della fallita sollevazione del giugno 2023.

Ufficialmente, però, Gershkovich è stato condannato perché «su incarico della Cia cercava informazioni sulla Uralvagonzavod», una compagnia del complesso militare-industriale. Chiaramente gli americani negano ogni addebito e la Casa Bianca ha rilasciato dure dichiarazioni al riguardo. È dai tempi della Guerra fredda che non succedeva un incidente del genere. Per decenni è esistita infatti una legge non scritta. Ossia chi aveva l’accredito stampa ufficiale (assolutamente non facile da ottenere) non correva rischi di finire nei guai con la giustizia locale. Al massimo si veniva messi nel giro di 24 ore sul primo aereo con biglietto di sola andata. Adesso addirittura le manette e una lunga pena da scontare. Come siamo caduti in basso.

Varie personalità a Washington accusano che invero i russi cercavano «ostaggi» per scambi con i loro uomini detenuti oltreoceano. Meno risalto ha avuto nei mesi passati la cacciata del corrispondente del quotidiano spagnolo «El Mundo», reo di aver pubblicato un libro dal titolo «Putinostan», pieno di critiche al Cremlino per aver trasformato la Russia in un Paese del Terzo mondo. Ma se si usa la parola «guerra» in Ucraina invece che l’espressione «Operazione militare speciale» (Svo) si rischia grosso. Ecco perché gran parte della stampa internazionale ha abbandonato Mosca nel marzo 2023, mentre i giornalisti russi, che non hanno voluto piegarsi alla deriva, sono stati costretti ad emigrare in un paio di ondate molto prima, dal 2015 in poi.

Se si scorrono oggi le pagine di alcuni siti Telegram, che riportano le notizie di processi a giornalisti o a semplici utilizzatori dei social media, c’è da rabbrividire. Alcuni adolescenti russi si sono beccati delle pene di anni di carcere come niente fosse. Il regime non tollera alcuna voce che possa mettere in dubbio la sua verità e il suo racconto dei fatti. La Russia non è l’unico caso in cui la libertà di stampa è stata violata. Nella vicina Bielorussia è stata persino massacrata. Ovunque ci sia un autocrate al potere avviene questo. Se si guardano le classifiche stilate dalle associazioni specializzate si scopre che, in gran parte del mondo, la libertà di stampa e di espressione vive tempi cupi. Sono pochi i Paesi in cui essa è garantita al 100% o quasi. Ecco perché, quando sentiamo in Italia persone esprimere giudizi davvero poco equilibrati, vorremmo invitarle ad andare a certe latitudini a scrivere o a dire quelle cose e a vedere cosa accade in quei posti.

La libertà di stampa rimane una delle fondamenta dei sistemi democratici. Ecco perché essa va sempre difesa ad oltranza. È nel confronto delle idee - sempre che non vi sia gente che falsifichi o mistifichi la realtà - che una società cresce e si arricchisce. Gershkovich, forse, non ha capito in quale Paese stesse lavorando.

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