Giorgia mostra i muscoli agli alleati

Nasce un governo di record. Il primo nella storia della Repubblica, per non parlar del Regno, guidato da una donna. Il primo talmente sbilanciato a destra da essere guidato da una leader politica nata in seno al partito che i chiamava Movimento Sociale Italiano e che radunava degli sconfitti del Fascismo e di Salò.

Il primo infine in cui l’«incaricato» di formare il governo accetta senza la tradizionale «riserva», entra nello studio «alla Vetrata» del Quirinale e ne esce con la lista approvata dal Capo dello Stato. Non è esattamente il primo in cui il presidente incaricato tiene nascosta nell’ultimo miglio la lista dei ministri alla maggioranza che lo sosterrà: ma è successo solo con i premier come Draghi, non con i politici di prima, seconda e terza Repubblica. Certo, ci sono state settimane di trattative e battaglie furibonde tra i tre partiti del centrodestra intorno alla lista dei ministri, ma alla fine ha deciso Giorgia insieme a Mattarella.

Giorgia Meloni appare determinatissima ad imporre il principio del comando di colei che ha personalmente vinto le elezioni politiche portando il proprio partito a superare di gran lunga i voti della somma delle altre due formazioni politiche alleate. Questa è del resto l’unica strada che ha per non farsi logorare da Berlusconi e Salvini immortalati mentre si scambiavano un eloquente sorrisetto quando Meloni, che voltava loro le spalle per parlare ai giornalisti, ricordava «l’indicazione unanime» a Mattarella del suo nome come candidata del centrodestra a formare il nuovo governo. Quei due non hanno calcolato che lo sguardo che hanno incrociato mostrava molto eloquentemente le loro intenzioni nei confronti della donna che ha tutta l’intenzione di comandarli a bacchetta: «Non sono ricattabile».

E per questo chi ha provato a strattonarla più forte è stato duramente punito. Basta guardare come è stata trattata Forza Italia, il partito che non ha votato Ignazio La Russa alla presidenza del Senato. Berlusconi non ha avuto la Giustizia per la Casellati (finita in un ministero di serie B), non ha avuto lo Sviluppo Economico dove c’è la strategica delega per le Telecomunicazioni, non ha avuto l’Agricoltura. E il Cavaliere ha dovuto rinunciare anche ad avere in consiglio dei ministri la sua prediletta Licia Ronzulli che addirittura aspirava alla Sanità. Quanto a Tajani, ha sì avuto gli Esteri e la vicepresidenza ma perché si è precipitato dai sodali del Ppe a spiegare che lui non c’entra niente con le parole «dal sen fuggite» con cui Berlusconi è tornato a mostrare il suo affetto per Putin.

È andata meglio per la Lega che nell’ultima fase si è schierata contro Berlusconi,. Però è pur vero che Salvini non ha avuto gli Interni per sé ma solo per un tecnico di area, peraltro molto vicino al Quirinale; non ha avuto l’Agricoltura e il nome di Giorgetti all’Economia sembra più che altro il frutto di un consulto tra Meloni, Draghi e Mattarella dopo il rifiuto dei grandi tecnici interpellati (che si sono tenuti a distanza dal nuovo governo).

Nei nuovi nomi dei ministeri ci sono segni di un programma politico sì ma anche culturale: «sovranità» per l’alimentare, «merito» per l’Istruzione, «Sicurezza energetica» invece che «Transizione»… Sono parole-bandiera.

Quanto alla filiera dei ministri che decidono le cose più importanti (e che fanno parte del Consiglio Supremo di Difesa presieduto dal Presidente della Repubblica) è tutta nelle mani di personalità fidatissime: Tajani agli Esteri, Crosetto alla Difesa, Piantedosi all’Interno, Giorgetti al Mef. La linea dell’Italia in politica estera non cambia , sull’Ucraina siamo in linea, in Europa non faremo i pierini. Non sappiamo se questo basti ai mercati ma è già un passo avanti. L’incognita vera è però se gli alleati di Meloni cominceranno a piantare le bandierine: Flat Tax, Fornero e Autonomia delle Regioni, per esempio, sono pronti per alimentare il protagonismo di Salvini, neo ministro dei Trasporti.

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