Geopolitica dei vaccini
Ora i conti non tornano

Cecità o ingordigia? La pandemia ha messo in luce i gravi errori e le scelte folli degli ultimi decenni sull’altare di un’impazzita delocalizzazione. Risultato? Nella primavera 2020 abbiamo atteso settimane prima che arrivassero in Europa le mascherine dalla Cina, a quanto pare, in quel momento unico fabbricante al mondo di tale articolo. Adesso sono stati definiti vari vaccini, pure registrati dagli Enti competenti dopo la corsa a perdifiato delle sperimentazioni, ma le multinazionali farmaceutiche non sono in grado di produrre le quantità che si sono impegnate a consegnare, firmando dei contratti. Complimenti per l’incredibile dimostrazione di responsabilità da parte dei loro amministratori delegati! L’etica, evidenziata da Adam Smith e Milton Friedman, è sempre più relegata nel dimenticatoio.

Pochi giorni fa dialogavamo con un manager di una nota azienda manufatturiera italiana che si lamentava come l’unico interesse interno fosse quello di minimizzare i costi, anche in presenza di spese indispensabili, a vantaggio solo del profitto in una visione, apparente, di corto raggio. Il «dio» denaro, insomma, la fa da padrone. L’obiettivo, ci veniva spiegato, è quanto più possibile dividere denaro con gli azionisti alla fine dell’anno. E meno male - pensiamo noi - che, un tempo, qualcuno affermava che sono i mercati a doversi autoregolare da soli, gli Stati ne dovevano restare fuori. Seguendo quella logica, si sono regalate montagne di tecnologie alla Cina, Paese che ha valori diversi dai nostri, diventato oggi un bel grattacapo per l’Occidente.

Il vento, però, sta cambiando: in Australia Facebook è stata costretta a scendere a compromessi ed in futuro pagherà un miliardo per le «news»; l’Amministrazione Biden ha aperto le porte ad una futura «web tax», versando tasse anche negli Stati - in Europa - in cui si è attivi.

Tornando alla pandemia, salute pubblica contro massimo profitto: dov’è il giusto confine? Come bisogna comportarsi con chi ha preso impegni e non li rispetta? Il rapporto tra colossi internazionali e Stati va certamente rivisto, come non è possibile permettere che produzioni «strategiche» possano essere delocalizzate con tanta facilità.

L’irritata Unione europea non sembra disponibile a porgere l’altra guancia, dopo quanto successo con il Covid-19, e si appresta ad essere in grado di produrre dentro i suoi confini i futuri vaccini necessari.

Secondo alcuni studiosi, i virus sono una delle sfide del futuro, sfida aggravata dai cambiamenti climatici. Ma è stato giusto delegare all’Unione europea le trattative per l’acquisto dei vaccini? Certamente sì, perché altrimenti i membri più poveri dei Ventisette sarebbero rimasti indietro. Questa è la solidarietà mancata nei confronti dell’Italia sulla questione migranti.

È solo l’Unione europea in ritardo coi vaccini? Prendiamo il caso russo. Adesso, oltre allo Sputnik, sono due i vaccini registrati. Il problema è che negli ultimi due decenni di presidenza Putin l’industria farmaceutica nazionale è stata smembrata. Per vaccinare in dicembre il personale medico a Mosca si è dovuto aspettare l’arrivo di una partita di Sputnik dalla Corea del Sud.

E la favola che la Gran Bretagna vola al di fuori dell’Unione europea? A parte le quantità del vaccino Pfizer provenienti dal Belgio, il Regno Unito ha ben 3 stabilimenti in casa che producono l’AstraZeneca dell’università di Oxford. Altri due insediamenti sono pronti per altri due vaccini.

Qualcuno ha definito delle precedenze, dimenticandosi dei contratti firmati. Ecco la ragione dell’imminente rivoluzione geopolitica e morale all’orizzonte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA