Gaza e Kiev, se il fattore umano viene cancellato

MONDO. Non passa giorno senza che Donald Trump susciti sorpresa, o ancor più spesso sdegno, con le sue uscite. Comprare Gaza e trasformarla in una specie di Costa Azzurra cacciando i palestinesi da casa loro per metterli sulle spalle di Paesi già fragilissimi come Giordania o Egitto.

Salvare l’Ucraina, sì, ma chiedendo cospicui risarcimenti (500 miliardi di dollari in minerali rari, per cominciare) per l’aiuto finora prestato dagli Stati Uniti. Una dichiarazione via l’altra, quasi sempre crudelmente irrispettose di quella che dovrebbe essere la prima preoccupazione: le vite umane, le centinaia di migliaia di vittime innocenti accumulate in questi anni nella Striscia come in Ucraina, per non parlare di altri fronti.

Il fattore umano dimenticato

È stato detto che Trump che le «spara grosse» per poi scendere a più miti consigli, per trovarsi a metà strada con l’interlocutore. E si cita l’esempio dei dazi contro Canada e Messico, annunciati con grande clamore e poi subiti sospesi in cambio di (vaghe) promesse di un maggiore controllo alle frontiere. Ci pare, però, che la sostanza del metodo trumpiano stia altrove e sia di assai maggiore sostanza. Tutto il quadriennio di Joe Biden, e in generale l’atteggiamento dei Democratici e delle maggioranze che hanno per il maggior tempo governato la Ue, è trascorso all’insegna della lotta del Bene contro il Male, della democrazia contro l’autocrazia, dei valori contro i disvalori. La politica estera di Trump è basata su un ben diverso presupposto.

L’America, sembra essere il pensiero di Trump, è la più grande tra le nazioni ma non è l’unica tra le nazioni grandi. Ce ne sono altre (i nomi li conosciamo: Russia, Cina, India, e così via) ed è normale che tra queste nazioni vi sia una competizione, un confronto per affermare i propri interessi. Non c’è il Bene o il Male ma solo l’interesse nazionale. Per tutti

La competizione, prima di tutto

L’America, sembra essere il suo pensiero, è la più grande tra le nazioni ma non è l’unica tra le nazioni grandi. Ce ne sono altre (i nomi li conosciamo: Russia, Cina, India, e così via) ed è normale che tra queste nazioni vi sia una competizione, un confronto per affermare i propri interessi. Non c’è il Bene o il Male ma solo l’interesse nazionale. Per tutti. In questa competizione la guerra non è necessaria. La prima istanza è trattare, anzi, contrattare (ovviamente alle migliori condizioni per sé e se possibile a svantaggio degli altri) per scoprire se gli interessi diversi siano in qualche modo conciliabili. La seconda istanza è l’uso della propria potenza, degli strumenti della propria grandezza, dall’economia alle armi. Che è esattamente ciò che Trump sta facendo con Ucraina e Striscia di Gaza, mentre con la Russia, che è un boccone assai più indigesto, almeno per ora siamo allo stadio della contrattazione. La liberazione dell’americano Marc Fogel, detenuto in Russia dal 2021 per una storia di cannabis, lo dimostra, come dimostra che Vladimir Putin, che storicamente ha sempre adottato il «metodo Trump», è pronto a battere la stessa strada.

La seconda istanza è l’uso della propria potenza, degli strumenti della propria grandezza, dall’economia alle armi. Che è esattamente ciò che Trump sta facendo con Ucraina e Striscia di Gaza, mentre con la Russia, che è un boccone assai più indigesto, almeno per ora siamo allo stadio della contrattazione

L’influenza globale degli Usa

Gli Usa, però, non sono la Russia, e nemmeno la Cina. La loro influenza globale, come la disponibilità a impegnarsi con le armi dell’economia e quelle delle forze armate nelle aree più diverse del mondo, è infinitamente superiore. Così il modo che Trump ha adottato per gestire la politica internazionale presenta due grossi rischi per tutti. Da un lato, i suoi scossoni possono provocare nuovi conflitti invece di spegnere quelli vecchi. L’idea di deportare i palestinesi per gestire Gaza come un resort ha indubbiamente minato la già fragilissima tregua tra Hamas e Israele, con grande soddisfazione dei suprematisti bianchi israeliani che già pregustano un’altra guerra. Dall’altro cancella dall’equazione politica il fattore umano, che dovrebbe essere invece quello decisivo. Ma se non si occupa di dare una sorte degna a un popolo senza un focolare come quello palestinese o a cercare una pace giusta per un popolo invaso e sofferente come quello ucraino, a risarcire le vittime e consolare i superstiti, a che cosa serve la politica? E soprattutto: a chi serve?

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