L'Editoriale
Sabato 12 Giugno 2021
G7, il ritorno Usa
Cina nel mirino
Tre esordienti di peso: Joe Biden, Mario Draghi e il premier giapponese Yoshihide Suga. Una veterana, Angela Merkel che raggiunge le 15 presenze alla vigilia del passo d’addio. Cinque Paesi invitati di grande significato: Corea del Sud, Australia, Sudafrica, India e Sultanato del Brunei. Alla fin fine, basterebbero questi pochi dati per dedurre l’agenda del G7 (diventato nel frattempo, causa Brexit, un G8: Usa, Regno Unito, Germania, Italia, Francia, Canada, Giappone e Ue) cominciato ieri in Cornovaglia. Per Biden è l’esordio assoluto sulla scena internazionale, una specie di tournée che, in una decina di giorni lo vedrà impegnato nel G7, nel summit con la Ue e in quello della Nato e gli farà incontrare due tipini come Recep Tayyp Erdogan e Vladimir Putin.
È anche un modo per segnalare al mondo che gli Usa, come molti amano dire, sono tornati e ambiscono di nuovo a regolare le sorti del mondo in base ai valori del libero mercato e della democrazia. Sempre più spesso, negli ultimi anni, il G7 ha provato a definirsi come il consesso delle democrazie in opposizione alle autocrazie più o meno emergenti. Il che è servito anche a colmare un calo di rappresentatività che non può passare inosservato per un gruppo di Paesi che pretende di regolare le sorti del mondo: Cina e Russia sono fuori, il G7 un tempo rappresentava il 70% del Pil mondiale e ora il 40%, e solo il 10% della popolazione globale. Tanto, ma non così tanto.
A parte qualche caso (per esempio l’Italia), nel gruppo non mancano i dispettosi e i litigiosi. Biden ha bloccato il progetto di oleodotto che avrebbe dovuto collegare i giacimenti canadesi alle raffinerie americane, e Trudeau non l’ha presa bene. Macron e Johnson litigano per i diritti di pesca e il confine in Irlanda, questioni aperte dalla Brexit. La Merkel indispettisce molti, in primo luogo Usa e Regno Unito, con la tenace difesa del gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2. Il Giappone usa molto il carbone, a dispetto degli impegni «verdi» degli altri Paesi.
Per fortuna (o per sfortuna) c’è un nemico che unisce (o danneggia) tutti: la Cina. A dispetto di tante intenzioni ottime e magari presto realizzate, come la difesa dell’ambiente, la distribuzione di un miliardo di dosi di vaccini anti Covid ai Paesi poveri entro l’anno o la global tax sui proventi dei colossi multinazionali delle tecnologie, è chiaro che il primo obiettivo del vertice è trovare una strategia per frenare l’espansionismo del colosso asiatico. Quindi, al di là dei valori e degli ideali, si parlerà di politica e di economia, ovvero delle alleanze necessarie per respingere con atti concreti l’ascesa di Pechino. I quattro Paesi invitati al G7 hanno tutti la stessa caratteristica: in un modo o nell’altro sono impegnati in un duro confronto con la Cina. L’Australia con conseguenze anche pesanti, visto che la Cina è il suo primo partner commerciale e quando reagisce non scherza: dopo alcune decisioni australiane poco gradite, dalla rinuncia al G5 Huawei al blocco di alcuni progetti legati alla Nuova Via della Seta, Pechino ha cancellato unilateralmente il trattato che dal 2014 regolava le relazioni economiche tra i due Paesi. È interessante che la Cina, quando ha deciso di rispondere, abbia accusato l’Australia di avere un atteggiamento «discriminante dal punto di vista ideologico».
Per la Cina, come peraltro per la Russia o per la Turchia, le relazioni economiche sono (o dovrebbero essere) terreno neutro rispetto ai sistemi di governo. Ovvio che se il G7 continuerà ad atteggiarsi a «club delle democrazie» e a chiedere adesioni di principio agli altri Paesi, lo scontro sarà inevitabile. Altrettanto ovvio che l’idea di una separazione netta tra i due campi è e resterà illusoria. Le grandi democrazie intrattengono relazioni cordiali con le autocrazie che a loro convengono e le autocrazie fanno altrettanto. Il caso Russia-Germania per il gasdotto, o l’amicizia del Regno Unito con l’Arabia Saudita, sono solo due tra i moltissimi esempi possibili.
È evidente, comunque, che l’intera politica internazionale è oggi condizionata da questo braccio di ferro. Dopo il G7 Biden incontrerà i vertici dell’Unione europea, perché nemmeno gli Usa possono affrontare la sfida senza contare sulla sponda politica, economica e culturale degli europei. E poi farà altrettanto con i vertici della Nato, che hanno appena suonato l’allarme rosso sulla possibile alleanza tra Russia e Cina. Il dado è tratto, il futuro ci dirà.
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