L'Editoriale
Lunedì 24 Agosto 2020
Fusioni bancarie
Finanza globale
Il prossimo autunno potrebbe riservare importanti novità in tema di fusioni bancarie. L’Opa di Intesa su Ubi Banca ha evidenziato il bisogno di un «punto di equilibrio» nel sistema che dia vita ad altre iniziative di fusioni. Autorizzando l’Opa di Intesa, pur con qualche vincolo in tema di cessione di sportelli, l’Antitrust ha sciolto ogni riserva inizialmente avanzata sui limiti rappresentati dalla tutela di una certa territorialità e concorrenza, allargando definitivamente la visione ad ambiti e logiche di mercato internazionali. C’è, poi, il gradimento verso le concentrazioni bancarie più volte espresso dalla Bce e dal governatore Visco, nonché la convenienza, in alcuni casi, a tali operazioni determinata dalle linee guida della vigilanza bancaria europea.
Queste, infatti, stabiliscono che il risultato negativo (badwill) – dato dalla differenza tra la capitalizzazione di borsa e il patrimonio netto tangibile – possa essere utilizzato in caso di fusione per spesare i costi di aggregazione e/o aumentare la copertura dei crediti. Dall’inizio dell’anno, anche a causa dei provvedimenti emanati per la pandemia, le banche hanno complessivamente ridotto del 24% la propria capitalizzazione di borsa e oggi quotano mediamente il 40% del patrimonio netto. Il «badwill» potrebbe quindi diventare uno degli indicatori più significativi per stabilire la convenienza a realizzare operazioni di fusione. Una banca che certamente porrà molta attenzione a questo indice è la Bpm il cui ceo Giuseppe Castagna – già impegnatosi senza successo in una fusione con Ubi Banca – si è dichiarato disponibile a cercare nuove aggregazioni. Qualche giornale economico ha ipotizzato una fusione con Mps – sulla quale si susseguono varie altre ipotesi – che potrebbe essere però ostacolata sia dalla previsione di un conto economico in rosso fino al 2022, sia dalla pesante situazione dei crediti deteriorati (Npl) di entrambe le banche. Proprio ai crediti deteriorati verrà riservata la massima attenzione prima di dare vita ad ogni accordo di fusione. In base ai dati di Bankitalia, a dicembre 2019 tali crediti, nonostante le continue e consistenti cessioni, ammontavano a 44 miliardi e rappresentavano il 3,4% dei crediti netti. Al 30 giugno 2020 i «crediti in sofferenza», nonostante una sensibile diminuzione rispetto al dicembre 2019, rappresentavano il 37,9% dei crediti deteriorati pari a 16,8 miliardi. Preoccupa inoltre la crescita delle «inadempienze probabili» (Utp) che al 30 giugno scorso ammontavano a 25,3 miliardi. Queste ultime potranno rappresentare un serio problema per molte medie e piccole banche e ancor di più per quelle di grandi dimensioni. Ad oggi Banca Intesa registra Utp per 6,6 miliardi, Unicredit per 5,5 miliardi, Banco Bpm per 4,6 miliardi, Mps per 2,8 miliardi, Ubi Banca per 2,6 miliardi e Bper per 1,5 miliardi. Tutto ciò fa pensare alla possibilità che anche grandi gruppi bancari esteri possano rivolgere la loro attenzione ad acquisizioni sul nostro territorio.
Una considerazione che accomuna molti operatori del settore è che oggi manchi una regia «ascoltata» in grado di indirizzare il sistema verso un «punto di equilibrio». In passato fu criticato, a ragione, l’eccesso di regia di Antonio Fazio, orientata a salvaguardare l’italianità delle banche. Oggi la situazione è sostanzialmente cambiata. Il Governatore Visco può esercitare, con non poche difficoltà, la sua «moral suasion» solo sulle banche di medie e piccole dimensioni. Per le banche più grandi, sottoposte prevalentemente alla vigilanza della Bce, si registra una sostanziale assenza d’interventi preventivi e, soprattutto, di pareri d’indirizzo, non formalmente vincolanti ma di grande valore, su operazioni già avviate. Ne deriva così che alcuni banchieri continuino a ritenere le fusioni una strada obbligata per tagliare i costi ma spesso si è assistito ad iniziative, anche molto opportune, interrotte anche per disaccordi sulle leadership, il che genera parecchi dubbi in prospettiva sulla tenuta del nostro sistema al cospetto dei colossi della globalizzazione.
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