Forza Pd nei territori, lezione per la destra

ITALIA. Il risultato dei ballottaggi nei Comuni, arrivato dopo il turno congiunto di Europee e Amministrative, contiene diversi avvertimenti per Giorgia Meloni e la sua coalizione di centrodestra, e insieme un deciso incoraggiamento al Pd.

Il risultato infatti premia il centrosinistra che ha conquistato tutti i capoluoghi di Regione in ballo: Bari, Firenze, Campobasso, Perugia, Potenza e Cagliari, quest’ultima già vinta al primo turno. Di tali città, la sinistra mantiene il governo di Bari e Firenze e strappa al centrodestra Perugia, Potenza e Cagliari e ai 5Stelle Campobasso. Un’autentica rimonta che conferma quanto avevamo già visto alle Europee: la vera forza del Partito democratico sta nei suoi amministratori, sindaci o governatori regionali.

L’exploit dell’ex sindaco di Bari Antonio Decaro diceva esattamente questo (mezzo milione di preferenze che hanno portato il Pd pugliese al primo posto) ma la conferma viene ora dal fatto che il nuovo sindaco del capoluogo di Decaro era il capo di gabinetto: dunque una scelta in continuità che il centrodestra aveva cercato di rompere sollecitando le inchieste sulla amministrazione della città e delle sue municipalizzate.

La stesso trend si è registrato a Firenze: eletto con grande consenso il sindaco uscente Nardella, al suo posto arriva una sua assessora, Sara Funaro, che batte l’ex direttore degli Uffizi Schmidt e si siede sulla stessa poltrona che fu di suo nonno, uno dei sindaci più amati della storia fiorentina, Piero Bargellini. E gli esempi si potrebbero moltiplicare: tutto dimostra che l’ossatura del Pd resiste ancora alle crisi del partito, ai suoi tormenti sull’identità, alle mille lotte interne, ai personalismi, ai correntismi, agli scandali, ecc. E con questo tipo di personale politico il Pd è ancora un ostacolo temibile per Giorgia Meloni perché, una volta esauritasi la spinta dei Cinque Stelle e di Giuseppe Conte, è esso l’unico vero avversario del centrodestra, quello che può alzare la bandiera dell’«unità contro le destre al governo». Quella stessa che per esempio ora si potrà sventolare in Umbria: dopo che il centrodestra è stato costretto a lasciare il campo di Perugia agli avversari, questi ultimi potranno provare a riprendersi la Regione, oggi in mano alla leghista Tesei. Guarda caso il candidato più accreditato a guidare l’assalto è un altro sindaco, anzi sindaca, oggi prima cittadina di Assisi.

Se Elly Schlein si giova dei suoi sindaci per proclamarsi vittoriosa, allo stesso tempo Giorgia Meloni deve dolersi della performance dei suoi che perdono tutti i capoluoghi di Regione e si affermano in città come Caltanissetta, Verbania, Rovigo, Vercelli. L’unico caso in cui una personalità spiccata riesce a vincere la partita è quello di Lecce dove Adriana Poli Bortone, vecchia guardia tatarelliana, che fu sindaco per l’ultima volta ben diciassette anni fa, alla bella età di ottant’anni si riprende il Comune dove ha regnato per lunghissime stagioni. Questo significa che Meloni deve concentrarsi di più sulla selezione della sua classe dirigente se vuole che il suo potere politico resti a lungo come si propone: dovrebbe essere questa la strada da percorrere più che auspicare una riforma della legge che disciplina la scelta dei sindaci, una delle poche che funzionano nel Paese delle mille leggi elettorali, perlopiù bislacche.

Ultimo elemento: la disaffezione degli elettori che continua e si aggrava. È vero che il secondo turno amministrativo ha tradizionalmente un’affluenza minore del primo, ma è pur vero che, come alle Europee, siamo ormai scesi ben sotto il cinquanta per cento dei votanti. Quello che un tempo i politici della Prima Repubblica avrebbero chiamato «un campanello d’allarme».

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