Forza Italia sopravvive: è a metà del guado tra passato e partito vero

ITALIA. Fino a quando Berlusconi era in vita, ci si è ripetutamente chiesti quale sarebbe stato alla sua scomparsa il destino di Forza Italia e, per estensione, del centrodestra. Trattandosi di un partito personale, si dava per scontato che la sua creatura sarebbe scomparsa con lui.

Non solo per l’impossibilità di trovare una leadership altrettanto carismatica come il suo fondatore. Non solo perché sarebbero venuti meno i mezzi finanziari e la rete mediatica che solo lui poteva mobilitare. Ma anche per il carattere leggero, destrutturato, plasmabile a piacere del padrone di Forza Italia che rendeva quel partito unico nel panorama nazionale. Ci stiamo accorgendo ora che le nostre previsioni erano forse troppo catastrofiste.

Anzitutto sul punto cruciale della leadership. «Apres moi le deluge», dopo di me il diluvio sembrava la direttiva sottaciuta adottata dal patron di Mediaset. Perennemente restio a indicare il suo successore alla guida del partito e della coalizione, le poche volte che ha accondisceso a fornire qualche indicazione sul prescelto, si è poi affrettato a detronizzarlo prima ancora che avesse avuto il tempo di indossare i panni del successore. Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Angelino Alfano sono i volti più noti di cui si era vociferato potessero ereditare la guida insieme di Forza Italia e del centrodestra.

Niente di tutto ciò si è verificato. Nessun erede. Nessun vuoto di leadership. Nessun collasso di FI. Ci ha pensato Meloni a risolvere ogni problema. Non ha chiesto né investiture né gradimenti da parte dei dirigenti del suo partito e del centrodestra. Semplicemente si è presa la guida di Fratelli d’Italia e del centrodestra, spodestando FI.

Seconda (relativa) sorpresa. Molte fibrillazioni, molte tensioni, molte ambizioni sono spuntate con la morte di Berlusconi, ma per il momento il partito tiene. Gioca certo a favore della sua tenuta la paura del dissolvimento che significherebbe per il gruppo dirigente letteralmente la scomparsa. Ma forse la capacità di sopravvivenza che FI manifesta, in barba al fatto che non disponga di un leader minimamente carismatico e sia insidiato da entrambi gli alleati, rinvia a un processo che sembra essersi messo in movimento negli ultimi tempi: ossia il superamento della personalizzazione estrema della politica che ha caratterizzato l’ultimo intero trentennio. È nettamente in declino il prodotto estremo di questa stagione: il partito personale. Sta riprendendo forza invece il partito in una forma organizzativa strutturata. Si sono avute le avvisaglie già al momento del tramonto della figura, prima dominante, di Berlusconi. Se ne colgono oggi le conferme. Sono divenuti nel sistema politico due partiti - Fratelli d’Italia e Pd -, non a caso i più storicamente radicati nel territorio, i meglio strutturati, oltre che quelli con un senso di appartenenza dei loro fedeli di gran lunga superiore a tutti gli altri partiti. Se questo trend si stabilizzasse, verrebbe tolto l’humus anche alle forze politiche che in questi anni hanno scommesso sul rapporto diretto popolo-leader, fornendo una spinta anch’essi alla personlizzazione della politica. I Cinque Stelle non si chiamvano grillini, in omaggio al loro fondatore e originariamente capo?

Forza Italia del dopo Berlusconi si ritrova in mezzo al guado: a metà orfana a metà chiamata a divenire adulta. Prendendo atto che la fortuna dei partiti personali sembra al capolinea, FI potrebbe tentare la sua mutazione in partito dotato di quella classe dirigente autonoma che il suo padre padrone non ha mai voluto creare e di un radicamento che non ha mai avuto. Ne risulterebbe condizionato non solo l’assetto del centrodestra, ma l’intero assetto del sistema politico.

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