Fondo salva Stati
Ora è da rivedere

Nei prossimi mesi si aprirà la discussione sulla riforma del «Patto di stabilità e crescita» che è sospeso fino a dicembre del 2022. Allo stato si contrappongono soprattutto due posizioni: quella dei Paesi del nord, favorevoli a un «minimo aggiustamento» dei parametri di Maastricht; quella di Francia e Italia, propense a un loro radicale cambiamento avendo come principale obiettivo la crescita. Trattandosi di orientamenti antitetici, è probabile che si vada verso un’ulteriore sospensione del Patto fino al 2023, anche per valutare appieno le conseguenze economiche e sociali della pandemia. Se ciò dovesse avvenire, sarebbe opportuno che le riflessioni si concentrassero anche sulla necessità di dare un volto nuovo al «fondo salva Stati», il così tanto controverso Mes. Sino ad oggi il Mes ha finanziato i programmi di sviluppo di Spagna e Cipro e ha erogato un prestito di 60 miliardi di euro alla Grecia.

Tali prestiti sono stati condizionati alla ristrutturazione del debito di questi Paesi e a pesanti interventi sul piano economico che hanno provocato, soprattutto per la Grecia, pesanti ripercussioni sul piano sociale. Ciò ha contribuito ad alimentare un forte scetticismo riguardo all’utilizzo di questi fondi. Se ne è avuta conferma in occasione della proposta di un intervento che, in relazione alla crisi pandemica, prevedeva l’erogazione di prestiti a tasso zero per 10 anni, con la sola condizione che i fondi fossero destinati direttamente o indirettamente alla Sanità. Nonostante le ripetute rassicurazioni delle autorità europee sull’assenza di vincoli posticci, i governi dei vari Paesi si sono dichiarati non disposti all’utilizzo, temendo che nel corso del finanziamento potessero essere poste ulteriori rigidità e generarsi così uno «stigma», cioè, a una valutazione negativa da parte dei mercati sulla condizione economica di un Paese.

Su questa linea si è posta anche l’Italia, per la quale sono stati resi disponibili 34 miliardi di euro, che sarebbero stati molto utili a risanare e rinnovare i vari comparti del nostro sistema sanitario, senza dover attingere ai fondi del New Generation Ue per circa 19 miliardi. Ad attenuare lo scetticismo non è servita la riforma che l’Eurogruppo ha elaborato lo scorso anno e che il nostro governo, dopo un primo veto, ha approvato in Parlamento nel dicembre 2020. La riforma prevede che i fondi del Mes possano essere mobilitati anche a sostegno del sistema bancario, come primo tassello in vista dell’unione bancaria. Prevede anche la predisposizione di linee di credito precauzionali per prevenire l’escalation delle crisi. Non è invece ancora stato superato l’aspetto più critico, rappresentato dall’obbligo per il Paese che richiede i finanziamenti di accettare contropartite da definire volta per volta, rappresentate da pesanti restrizioni di bilancio e dalla ristrutturazione del debito.

Il permanere di criticità, renderebbe quanto mai opportuna la trasformazione del Mes in una «Agenzia del debito europeo» abilitata ad acquistare una parte dei debiti sovrani dei Paesi in difficoltà attraverso l’emissione di propri titoli di debito (eurobond), che sarebbero agevolmente classabili sui mercati. Si tratterebbe di proseguire lungo la linea tracciata con il finanziamento per 220 miliardi di euro del New Generation Eu, attraverso la costituzione di un debito comune che, come già avvenuto, incontrerebbe il favore degli investitori. Ciò faciliterebbe anche la creazione di condizioni idonee per giungere entro il 2023 a una riforma del «Patto di stabilità e crescita» fondata su criteri di maggiore flessibilità, orientata a sostenere e vivacizzare la crescita dell’intera nostra comunità.

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