Foibe, dolore nazionale. Il ricordo va preservato

ITALIA. Tra il maggio e il giugno del 1945, poche settimane dopo la resa incondizionata della Germania, migliaia di italiani della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia vennero trucidati dalle milizie del maresciallo Tito, deportati nei campi sloveni e croati per morire di stenti e malattie, oppure gettati nelle foibe, fenditure profonde anche decine di metri, tipiche del territorio carsico, come quella di Basovizza.

Alcuni erano ancora vivi, legati l’uno all’altro e trascinati nel baratro dal primo della fila, giustiziato sul ciglio con un colpo di rivoltella. La propaganda jugoslava, dura a morire ancora oggi, contrabbandava quelle stragi e quelle epurazioni come giustizia politica contro i nazifascisti. Ma la realtà era ben diversa. Si trattava di pulizia etnica, come era accaduto spesso nei Balcani.

Nessuno doveva opporsi all’annessione delle terre contese tra Italia e Jugoslavia. E così per mano dei titoisti caddero collaborazionisti e repubblichini, partigiani, membri del Cln, amministratori locali, sacerdoti, comunisti contrari all’annessione, centinaia di cittadine o cittadini denunciati da altri connazionali, travolti da un vortice di vendetta che si accompagnava a torbide violenze. Si parla di cinquemila vittime, ma non tutte vennero recuperate per l’asperità di quelle voragini. Quelle stragi preludevano all’esodo di oltre 300mila italiani, uomini, donne, vecchi, bambini istriani, fiumani e dalmati, costretti ad abbandonare la terra diventata jugoslava in cui vivevano da generazioni. Per ricordare quella tragedia italiana il nostro Parlamento approvò il 30 marzo 2004 quasi all’unanimità (Rifondazione comunista votò contro) la legge 92 che istituisce il Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe. Come data per la commemorazione fu scelta quella del Trattato di pace, che nel 1947 stabilì il confine tra Italia e Jugoslavia, il 10 febbraio.

Il ricordo a Basovizza

Una delle iniziative che hanno avuto particolare evidenza evocativa è avvenuta nel 2020, quando il Presidente Sergio Mattarella e quello sloveno Borut Pahor posero corone d’alloro davanti alla foiba di Basovizza, simbolo del martirio degli italiani, non lontano da Trieste, e al vicino monumento delle vittime antifasciste slovene.

Un legame con questa terra e con questa memoria – quello del Presidente – che si rafforza nel tempo e che guarda al futuro. Il Capo dello Stato ha ribadito con fermezza l’importanza della cooperazione tra Italia e Slovenia durante la cerimonia di inaugurazione di Nova Gorica e Gorizia come Capitale Europea della Cultura 2025: «Nulla può far tornare indietro la storia che Slovenia e Italia hanno costruito e costruiscono insieme». Un messaggio chiarissimo dopo lo sfregio alla foiba di Basovizza dove, alla vigilia del Giorno del Ricordo, sono comparse scritte ripugnanti e sacrileghe. Purtroppo il tema delle foibe, rimosso per decenni dalla coscienza nazionale e finalmente riconosciuto alla fine degli anni Novanta, è spesso caduto nella strumentalizzazione ideologica, quasi la si dovesse contrapporre all’unicità della Shoah, equiparando due vicende totalmente differenti sotto tutti i punti di vista, con lo scopo di attenuare le responsabilità dei nazifascisti nei confronti degli ebrei.

Una tragedia, quell delle foibe, che continua a essere terreno di battaglia ideologica. Per decenni è stata sepolta sotto il silenzio, poi riscoperta con sospetto, infine piegata alle convenienze di parte. C’è chi la usa per attenuare le colpe del fascismo e chi per negare le violenze titine, rovesciando la frittata. Ma le vittime delle foibe non furono tutte di destra, come si è detto, c’era solo gente colpevole di stare dalla parte sbagliata del confine, al momento sbagliato. Quello che li univa era l’essere italiani. La storia non si scrive con le rimozioni né con le vendette postume. Si scrive con i fatti. E i fatti dicono che le foibe furono una tragedia nazionale. Preservarne la memoria non è un atto politico: è un dovere di giustizia.

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