Fine vita, la faticosa sintesi che non c’è

ITALIA. La soluzione non c’è, perché la situazione è complicata e sarebbe finalmente ora che tutti lo riconoscano e si ricominci daccapo a ragionare insieme.

Sul fine vita non si trova una via da imboccare e si procede tra fughe in avanti istituzionali, passi indietro nello spazio etico pubblico del dibattito sulla libertà di coscienza del legislatore rispetto alle appartenenze di partito, e nuovi ricorsi con interventi della magistratura. Ciò che è accaduto in Veneto nei giorni scorsi e ciò che è accaduto ieri a Firenze, dove un giudice ha sollevato ancora davanti alla Consulta la questione della punibilità di chi agevola il suicidio assistito, conferma che l’intreccio tra implicazioni politiche e giuridiche è difficile da dipanare, ma anche che sono andati in crisi i luoghi di confronto dove ragionare insieme senza polemiche e sotterfugi. C’è una sentenza della Corte Costituzionale che stabilisce la non punibilità del suicidio assistito a determinate condizioni. Ma non c’è una legge che definisca tempi e modi del fine vita. La Corte ha invitato perentoriamente il Parlamento a prendere l’iniziativa, ma nulla è stato fatto.

Il tema è trasversalmente troppo divisivo, tocca libertà individuali e necessita anche di un confronto schietto con istanze che provengono dalla fede e dalla religione non solo cattolica. Poi vi sono sul tavolo complicatissime questioni giuridiche, che coinvolgono Aziende sanitarie, Regioni, Tribunali in un vortice infinito di incertezze. Nei partiti c’è agitazione poiché i temi etici rinfocolano ogni polemica. La bocciatura della legge sulla versione veneta del fine vita è stata messa in capo ad una consigliera (cattolica) del Pd che si è astenuta per coscienza, esercitando un diritto costituzionalmente garantito. Ma la segretaria del partito, Schlein, ha parlato di occasione persa in Veneto e di «ferita» nel partito. Insomma i soliti cattolici che sabotano le sorti progressive.

Pur di avere un punto per la sua agenda la segretaria dem era disposta a tutto. Ma i cattolici del partito hanno messo davanti la propria coscienza, che non è un muto stato d’animo. La coscienza ha il diritto e il dovere di parola. La consigliera veneta che lo ha esercitato si chiama Anna Maria Bigon. Il Pd è un partito plurale, nato dall’incontro tra idee, dove nessuno dovrebbe andare alla stoccata e concepire ogni discussione come un duello. Eppure è ciò che rischia di accadere con la minaccia di sanzioni alla consigliera Bigon. La cultura politica dei cattolici è diventata irrilevante per la brillante nuova segreteria del Pd? La domanda merita una risposta chiara in vista delle prossime elezioni europee, perché la linea di un partito si cambia con discussioni ampie, partecipate e nei luoghi deputati e non dicendo, ha giustamente osservato il senatore dem Graziano Delrio, «ad una consigliera regionale di uscire dall’aula e non votare» per non macchiare il volto progressista della segretaria pro-tempore. Sul fine vita la sintesi è faticosissima, ma si può trovare e sarebbe il vero scatto in avanti politico per un partito che ha alle spalle una grande tradizione di cultura politica e ha contribuito al massimo livello a costruire un Paese solido, democratico e coraggioso nel rispetto della libertà di coscienza in tutti i campi.

Il voto in Veneto ha riacceso anche un dibattito istituzionale, che tuttavia rischia di scivolare per la fretta e le scorciatoie. La Consulta ha sollecitato al Parlamento una legge, ma il Parlamento non si attiva. Così le Regioni, essendo materia quella sanitaria concorrente, cercano il fai da te. L’Associazione radicale Luca Coscioni aveva proposto leggi fotocopia in ogni Regione. Si può fare? I costituzionalisti sono divisi. La discussione è tecnica, ma in realtà è politica. Su un argomento di tale portata il Parlamento rischia di lavarsi pilatescamente le mani a favore (o a danno) delle Regioni. Certamente c’è chi pur di avere una legge è disposto a tutto. Ma un Paese con la nostra storia può lasciare che su questioni che riguardano così profondamente la persona siano tribunali e commissioni a decidere, con l’incognita, per giochi di maggioranza o per puntigliosità ideologica, di lacerare la libertà di coscienza costituzionalmente garantita?

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