Se anche i tedeschi
hanno dormito

Entro il 2022 Mercedes Benz deve risparmiare 1,4 miliardi di euro cosí suddivisi: un miliardo per auto, 100 milioni per i Vans, 300 milioni, per i trasporti pesanti. Dove andrà a tagliare il neoamministratore delegato Ola Källenius? Nei motori, nella carrozzeria? No, nel personale. 170 mila dipendenti rimangono, ma mille posizioni dirigenziali saltano. Hanno perso il treno dell’elettrico e adesso pagano. Il motto di Mercedes è: o il meglio o niente. Per adesso c’è il niente, l’azienda si deve reinventare. Con le emissioni zero è scoccata l’ora della verità.

Mercedes è diventata senza quasi accorgersi un museo. Contiene motori a scoppio perfetti ma inutilizzabili. Deve raggiungere l’eccellenza nelle batterie, nei veicoli a trazione non combustibile e a guida autonoma, ma non sa se gliela farà. Più a Nord nella mitica Ruhrgebiet un’altra icona vacilla. ThyssenKrupp, l’industria siderurgica per eccellenza, ha aumentato del 100% l’esposizione debitoria ed al contempo ha portato i suoi profitti ad un calo del 64%, dopo 31 anni è uscita dal Dax, l’indice azionario di riferimento per le aziende top, e secondo l’agenzia Bloomberg è in ginocchio.

Non è vero che tutto brilla in quel di Germania: anche quando gli si chiede come giudicano il loro Paese, i tedeschi rispondono - su una scala di 80 punti - 79,4%, ovvero: forte, eccellente. Si potrebbe dire da primi della classe. E questo a fronte di una reputazione esterna, ovvero ciò che gli altri pensano della Germania, che si attesta al 67,6 ovvero mediamente buono.

È ciò che in Italia valutiamo come presunzione, anche se siamo poi noi i primi a rinfocolare gli orgogli altrui con una scarsa considerazione di noi stessi e della nostra nazione. Sempre seguendo i risultati di questa indagine demoscopica diffusa nel 2017 da European House Ambrosetti risulta che la reputazione esterna dell’Italia è a quota 71,7, quindi superiore a quella tedesca, ma quella interna - ovvero data dagli stessi cittadini italiani - è di 57,1: ovvero debole, vulnerabile. Se guardiamo alla nautica l’Italia è leader mondiale nel settore, all’ultimo Salone di Genova gli operatori hanno salutato un aumento delle ordinazioni. Potremmo dire che nel settore l’Italia è ciò che la Germania è nell’automobile. Fincantieri è il più grande costruttore di navi in Europa, ma poi quando va a trattare con i francesi per l’acquisizione del cantiere Stx di Nanterre sembra quasi debba chiedere un favore. Una debolezza che permette poi alla Francia di chiamare in causa l’Antitrust europea con la speranza di tarpare le ali agli italiani. Il tutto mentre i francesi in Italia hanno fatto shopping per più di 50 miliardi e con ambizioni di scalata in Mediobanca e in Generali.

In Germania Friedrich Merz ambisce al cancellierato e nessuno gli contesta l’apodittica affermazione: «Siamo agli ultimi posti nella infrastruttura digitale in Europa». I tedeschi hanno dormito in questi anni. È fuor di dubbio che il benessere rende satolli e meno reattivi. Mentre negli Stati Uniti, in Cina, in Corea si correva verso l’intelligenza artificiale, a Berlino e dintorni si pensava che una buona automobile serve comunque, anche nell’era digitale. Così adesso con il 5G, ovvero la Rete super veloce, devono andare a Canossa. Quando nel 2016 ad Angela Merkel è stata conferita in Cina la laurea honoris causa, il cancelliere ebbe a dire: noi siamo per l’affermazione del diritto e non per il diritto del più forte. Nel frattempo il mondo ha saputo della detenzione in massa degli oppositori e dell’oppressione del popolo degli Uiguri, ma a Berlino nessuno ha alzato la voce.

Stretta fra i dazi di Trump e il ritardo tecnologico nelle telecomunicazioni, la Germania vive un presente che sa di passato. In Italia siamo più realisti: viviamo la nostra decadenza, ma senza illusioni.

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