Fibrillazioni non solo sulla Cultura

ITALIA. Quel che è emerso con chiarezza è lo stato di malessere in cui si trova un ministero, quello della Cultura, che dai tempi di Dario Franceschini è uscito dalla serie B in cui giaceva miseramente e che oggi invece gestisce potere, risorse, poltrone, rapporti internazionali.

La messa in onda di «Report», più che danneggiare il governo e la destra, ha soprattutto avvantaggiato il suo autore Sigfrido Ranucci il quale ha così abilmente annunciato alla vigilia chissà quali devastanti rivelazioni («Un altro caso Boccia!») da portarsi dietro un bel 14 per cento di pubblico televisivo, che per la tv di oggigiorno equivale a un botto. In realtà, a parte la foto della penosa ferita sulla fronte di Gennaro Sangiuliano procuratagli dalla mancata consigliera, e un po’ di pettegolezzi su mostre governative, gestione di musei, aquile tatuate sul petto del successore di Sangiuliano, Giuli, poco si è saputo che già non fosse stato ampiamente dragato da tutte le redazioni. Quel che invece è emerso con chiarezza è lo stato di malessere in cui si trova un ministero, quello della Cultura, che dai tempi di Dario Franceschini è uscito dalla serie B in cui giaceva miseramente e che oggi invece gestisce potere, risorse, poltrone, rapporti internazionali.

Le tensioni nel partito

Se però Sangiuliano è caduto per ragioni eminentemente sue e di chi lo circondava, l’attuale inquilino del Collegio Romano si è trovato a combattere una battaglia durissima innanzitutto con pezzi del partito cui dovrebbe essere vicino se non vicinissimo: lo ha salvato il rapporto con Giorgia Meloni ma se fosse dipeso da molti parlamentari di FdI, si sarebbe dovuto dimettere all’istante nel momento in cui ha nominato come capo di gabinetto Francesco Spano, un tecnico politicamente di sinistra (era il braccio destro di Giovanna Melandri alla direzione del MAXXI) e perdipiù esponente Lgbt al punto di aver avuto in passato anche un incidente giudiziario su certi finanziamenti ad associazioni gay. La rivolta contro la scelta di Giuli è esplosa nelle chat dei parlamentari ed ha trovato eco addirittura sul Secolo d’Italia, il giornale ufficiale del partito, con la vicedirettrice Annalisa Terranova che lamenta «il disagio della base» per le scelte di certi ministri che col partito nulla o poco c’entrano.

Insomma, per quanto di destra, per quanto militante in gioventù di organizzazioni di area, Giuli suscita parecchia irritazione tra i deputati e senatori che, con un partito al 30 per cento e al vertice del potere, sbuffano ad essere considerati poco più che massa di manovra parlamentare cui vengono precluse le cariche più prestigiose. Per esempio uno come Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura della Camera e dirigente di FdI sin dalla nascita, ancora si chiede per quale motivo al ministero della Cultura debbano andare i Giuli e non per esempio, lui stesso; stessa opinione deve coltivare in segreto anche il sottosegretario Mazzi, uno dei boss del mondo dello spettacolo. In parte anche Sangiuliano aveva suscitato a suo tempo simili rimostranze pur essendo stato da giovane, un attivista del Msi.

Giuli suscita parecchia irritazione tra i deputati e senatori che, con un partito al 30 per cento e al vertice del potere, sbuffano ad essere considerati poco più che massa di manovra parlamentare cui vengono precluse le cariche più prestigiose

Più ministeri sotto la lente

Ma se il ministero della Cultura è diventato l’epicentro di questo malessere che cova nel partito di maggioranza relativa dopo due anni di governo, la sensazione è che la fibrillazione dentro FdI riguardi anche altri ministri, anch’essi «esterni» al curriculum di partito. Come Crosetto, tanto per fare il primo esempio: tutti sanno che il ministro della Difesa, per quanto co-fondatore dei Fratelli, ha un passato democristiano, e oggi occupa una posizione strategica di primissimo piano se non altro per il contesto geopolitico. Per non parlare di Fitto, altro democristiano figlio di democristiano, appartenente all’élite politica pugliese: a lui è stata affidata la missione più importante, quella del Pnrr, ed è lui quello cui Meloni ha chiesto di difendere le ragioni dell’Italia nel cuore della Commissione. Forse anche questo contribuisce ad un fenomeno che non avremmo previsto in un partito sempre considerato granitico e monodirezionale: la nascita delle correnti e la fastidiosa sensazione di un «tutti contro tutti» che Giorgia deve controllare e governare con sempre maggiore fatica.

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