«Fame zero», cosa serve per centrare l’obiettivo

MONDO. Sta volgendo al termine un anno difficile per la lotta alla fame ed è necessario comprendere la situazione che stiamo vivendo per essere pronti agli impegni che il nuovo anno ci presenterà.

Stiamo affrontando un periodo complesso, molti analisti definiscono questa come la stagione delle «policrisi», dove gli effetti di diversi shock non solo si sommano, ma si riverberano determinando impatti più radicali. La lotta alla malnutrizione si trova purtroppo nel cuore di questi tornanti difficili che colpiscono persone e comunità in territori già molto delicati. Sono tre in particolare le sfide: la combinazione degli effetti di medio e lungo periodo della pandemia, in primis con il balzo dell’inflazione alimentare e la crisi energetica; l’esplosione di nuovi conflitti, dall’Ucraina al Medio Oriente, dove oggi nella sola Striscia di Gaza oltre due milioni di persone vivono in condizioni drammatiche di estrema insicurezza alimentare; le conseguenze ormai strutturali della crisi climatica, che stanno provocando sofferenze e povertà alimentari per milioni persone.

Il fatto è che i paradossi del cibo si amplificano ed è come se le lancette del tempo fossero tornate indietro: i numeri odierni della fame ci dicono che siamo retrocessi al 2015, a dimostrazione che nei quasi dieci anni trascorsi non si sono consolidati passi avanti nel combattere la deprivazione alimentare.

Viviamo una nuova fase della globalizzazione con diseguaglianze profonde, dove pochi hanno sempre di più e tanti hanno sempre meno. Fenomeni finanziari speculativi anche sul cibo sono sempre in agguato, specialmente nei momenti di instabilità. Il mondo spreca oltre un terzo del cibo prodotto ogni giorno e nel contempo crescono sia i numeri della malnutrizione che gli effetti negativi dell’obesità. Tre miliardi di esseri umani non riescono ad avere accesso a una dieta alimentare sana e molti milioni vivono in aree sempre più a rischio idrico. Capita sovente che siccità e inondazioni colpiscano nelle stesse stagioni le medesime comunità, determinando imponenti migrazioni interne dalle campagne rurali alle aree più urbanizzate e provocando disequilibri sia nelle terre di partenza che in quelle di arrivo.

Descrivere questa situazione con realismo non deve essere un esercizio fine a se stesso, né deve portare alla rassegnazione. Come se le cose non possano cambiare in meglio grazie alla volontà di ciascuno di noi e in primis dei principali protagonisti delle scelte collettive nelle Istituzioni. Tutt’altro. È bene avere la consapevolezza che in questo quadro a tinte fosche ci sono anche storie, esempi e azioni positive. È bene sapere che ci sono comunità e territori che hanno visto invece cambiare in meglio la loro vita, superando la povertà più estrema e arrivando a soglie di nutrizione più dignitose. Esiste ancora la possibilità di invertire la rotta e migliorare le condizioni di sostentamento delle persone più vulnerabili e guai a noi se lasciassimo il passo al disincanto. Tuttavia, perché questo cambio di passo si realizzi, occorre che la comunità internazionale, e prima di tutto le nazioni e i governi, credano di più nel multilateralismo.

Sappiamo che da tempo esso soffre difficoltà e limiti, ma rimane essenziale, tanto più in questo tempo delicato. È uno strumento centrale di azione e cooperazione tra diversi. Arriva dove i singoli Stati spesso non possono o magari non devono arrivare. Servirebbe investire dunque sul suo rafforzamento e miglioramento, per assolvere con più efficacia agli obiettivi di pace, solidarietà e convivenza che lo ispirano, a partire proprio dalle Nazioni Unite.

Caro direttore, nella lotta alla fame solo il multilateralismo può compiere la svolta necessaria, a maggior ragione ora che crisi alimentare e crisi climatica sono sempre di più due facce della stessa sfida.

Nessuna comunità, confine o paese basta a se stesso. Con il nuovo anno mancheranno solo sei stagioni di raccolti nei campi al 2030, l’anno di riferimento per raggiungere l’obiettivo «Fame zero» indicato nell’Agenda per lo sviluppo sostenibile voluta dalla comunità internazionale. È un soffio di tempo e se non vogliamo lasciare sulla carta questo traguardo, occorrerà raddoppiare i nostri sforzi per invertire la rotta. Mettiamoci al lavoro.

* Direttore Generale aggiunto FAO

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