L'Editoriale
Lunedì 17 Febbraio 2020
Facebook, adesso
è l’ora dei fatti
Alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera erano presenti trenta capi di Stato più uno. Senza apparenti titoli se non quello di imprenditore, Zuckerberg si è presentato nel gotha della diplomazia internazionale nelle vesti di combattente per la democrazia. Non ha eserciti dietro di sé, né testate atomiche ma è la star per eccellenza. Il motivo è semplice: è il più potente di tutti. Con una rete di contatti che supera 1,9 miliardi di utilizzatori, dispone di un popolo transnazionale superiore al miliardo e mezzo, ed è in grado di condizionare l’opinione pubblica del mondo intero. Nella sala del Bayerischer Hof l’uomo di Facebook grida al mondo il suo impegno: abbiamo una responsabilità, vi saranno nuove minacce e noi dobbiamo scoprirle prima che possano creare danni. Uno slancio di condivisione che non viene dal nulla. Cambridge Analytica aveva utilizzato 50 milioni di profili Facebook e i dati privati ad essi legati per sviluppare un software in aiuto a Donald Trump nelle elezioni del 2016. Uno scandalo costato un calo vistoso in Borsa oltre all’evidente danno di immagine.
È in questa circostanza che si è scoperto quanto influente sia il mondo dei social e soprattutto quanto potente sia colui che lo gestisce. I governi, i Parlamenti si sono preoccupati ed hanno posto il problema della trasparenza e della sicurezza al primo posto. Questo spiega perché Zuckerberg, di per sé poco incline alla pubblicità mediatica, sia uscito dalla tana ed abbia annunciato di avere già investito miliardi di dollari per creare programmi che ogni giorno cancellano un milione di fake-accounts. Vi fidereste di un social network che manipola i vostri dati e può permettersi intrusioni nella vostra vita privata? Questa è domanda alla quale il trentaseienne imprenditore di White Plains è stato chiamato a rispondere. Oggi sarà a Bruxelles a trattare con la Commissione Europea. Il pagamento degli oneri statali per i profitti che vengono realizzati nel singolo Paese è un dovere al quale molti giganti del web si sottraggono.
Il miliardario americano ha annunciato cooperazione e disponibilità a mettere mano al portafoglio. Chiede chiare regole che sollevino l’azienda dal peso di una responsabilità sociale e politica che finora grava sulle spalle dell’operatore. Va definito un percorso per procedere contro le azioni di disinformazione, i messaggi di odio, gli appelli alla violenza, e la propaganda terroristica, questo l’appello di Monaco di Baviera. La sicurezza è il tema e passa sulle strade di internet. Questo spiega perché Nancy Pelosi, la speaker del Congresso americano, parla ad una voce sola con il suo più acerrimo avversario Donald Trump, da lei inquisito e sottoposto ad impeachment. Sul pericolo cinese Congresso e Casa Bianca non hanno divergenze: Huawei non offre garanzie per la rete ultraveloce 5G. È troppo permeabile al controllo del governo e del Partito comunista cinese. Da qui l’appello agli Stati europei. Gli americani non hanno aziende di impiantistica in grado di fare concorrenza al colosso cinese, ma hanno Google, Facebook, Amazon, Apple, Microsoft, Netflix ecc. Gli europei non hanno né una né le altre. Hanno la finlandese Nokia che però è attiva negli Usa. Per il resto hanno perso l’aggancio all’economia digitale. Il solo Macron ha capito la portata della sfida. Ha creato un fondo investimenti di 6 miliardi per facilitare le start up. L’obiettivo nei prossimi cinque anni sono 25 unicorni. Ovvero aziende digitali da un miliardo di fatturato. I francesi con i numeri fanno come con la grandeur ma offrire detassazione a chi acquista quote di capitale delle aziende è un passo di rilievo. Il secondo è l’eliminazione della procedura burocratica. Vedremo. Ma almeno lui si muove. E gli altri dove sono?
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