Evasione tra numeri da scandalo e propaganda

ITALIA. Gli Italiani non sono così poveri come spesso dichiarano al loro commercialista e al Fisco. Inoltre, nel nostro Paese, i Governi praticano meno austerity fiscale di quella che spesso si racconta nel dibattito pubblico.

E la sostenibilità del nostro welfare, infine, è meno granitica di quanto si creda. Sono solo alcune delle conclusioni, per molti inattese, che emergono dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi 2022 curata dall’Osservatorio Itinerari previdenziali. Su poco più di 59 milioni di abitanti, 42 milioni hanno presentato una dichiarazione dei redditi nel 2023 (con riferimento all’anno di imposta precedente), il numero maggiore di sempre. Coloro che versano almeno un euro di Irpef, invece, sono 32,4 milioni, in aumento di un milione rispetto all’anno precedente. I segnali di un’economia in crescita non possono nascondere tuttavia vistosi squilibri nella platea dei contribuenti.

«Sommando tutte le fasce di reddito fino a 29mila euro – è scritto nel rapporto – si evidenzia che il 75,80% dei contribuenti italiani versa solo il 24,43% di tutta l’Irpef. Una fotografia più vicina a quella di un Paese povero che di uno Stato membro del G7 e che parrebbe oltretutto poco veritiera guardando a consumi e abitudini di spesa degli Italiani»

A sostenere il peso più gravoso dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, infatti, è il 15% degli italiani. Parliamo dei 6,4 milioni di nostri concittadini con un reddito lordo annuo di almeno 35mila euro, dunque non necessariamente «ricchi»: da soli reggono sulle loro spalle, o meglio con le loro tasche, il 63,4% del gettito complessivo da Irpef. Non è finita qui. «Sommando tutte le fasce di reddito fino a 29mila euro – è scritto nel rapporto – si evidenzia che il 75,80% dei contribuenti italiani versa solo il 24,43% di tutta l’Irpef. Una fotografia più vicina a quella di un Paese povero che di uno Stato membro del G7 e che parrebbe oltretutto poco veritiera guardando a consumi e abitudini di spesa degli Italiani». Questi ultimi sono tra i maggiori possessori di prime e seconde case in Europa, detengono uno dei parchi auto più numerosi del continente, primeggiano in abbonamenti a pay-tv dedicate a sport e cinema, giusto per fare qualche esempio. Insomma il problema dell’evasione, nonostante gli ultimi dati positivi sul recupero del «nero», è ancora ben lungi dall’essere risolto.

Welfare a rischio

Il problema non è soltanto di natura «etica», ovviamente. «Se solo 32,4 milioni di cittadini su 59 milioni di abitanti presentano una dichiarazione dei redditi positiva – ha osservato il professore Alberto Brambilla, a capo del Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali - significa che il 45% degli Italiani non ha redditi e, quindi, vive a carico di qualcuno». Considerato che nel 2022 sono stati necessari 131 miliardi per la spesa sanitaria pubblica, oltre 157 miliardi per l’assistenza sociale e altri 13 miliardi per il welfare degli enti locali, dunque un totale che supera i 300 miliardi, è evidente che una simile situazione – a dispetto delle frequenti rassicurazioni - «mette a rischio sia il welfare sia la tenuta del debito pubblico».

Il debito pubblico

Nella ricerca dell’Osservatorio non mancano comunque alcuni dati positivi. Quello più importante riguarda l’aumento del gettito Irpef, dal 2008 a oggi, pari al 16,03%. Un incremento che è tuttavia inferiore a quello della crescita del Pil nello stesso periodo (+19,26%), e soprattutto di molto inferiore all’aumento registrato dalla spesa pubblica (+53,23%). Si evidenzia in tal modo che l’austerity fiscale, citata a ogni pie’ sospinto da tutti i partiti politici ogni volta che si trovano nel ruolo dell’opposizione al Governo, è più uno spauracchio che altro. Se entrate e uscite per lo Stato avanzano a ritmi così diversi fra loro, è naturale che il debito pubblico tricolore continui ad aumentare.

Per correggere questo tipo di scompensi non esistono «bacchette magiche». La crescita dell’economia dovrebbe rimanere la stella polare di ogni politica pubblica. Non va in questa direzione tartassare il ceto medio

Per correggere questo tipo di scompensi non esistono «bacchette magiche». La crescita dell’economia dovrebbe rimanere la stella polare di ogni politica pubblica. Non va in questa direzione tartassare il ceto medio, per esempio tagliando i massimali delle detrazioni a partire dai 75mila euro, ha notato Stefano Cuzzilla, presidente di Cida che ha contribuito al rapporto. Inoltre, sempre con l’obiettivo di alimentare lo sviluppo, dunque con più concretezza e meno spot tv moralistici, andrebbe rafforzata la lotta all’evasione fiscale. Infine è indubbio che sia giunto il momento di una discussione aperta e senza tabù sulla tassazione dei redditi in Italia, considerato che progressività ed equità dell’attuale modulazione dell’Irpef sono oramai altamente opinabili alla luce dei dati.

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