Europa e Usa si dividono i compiti (e i nemici)

MONDO. Magari è solo una coincidenza ma proprio il vertice dei 75 anni è servito alla Nato per sancire due importanti trasformazioni.

La prima è il passaggio da Alleanza Atlantica ad alleanza globale, con il varo di una contrapposizione alla Cina mai prima espressa in termini così grintosi e persino minacciosi. La Cina viene definita nel comunicato finale un pericolo per la prosperità e la sicurezza dell’Occidente, e le si intima di abbandonare l’alleanza con la Russia: «Non può facilitare la più grande guerra europea della storia recente senza che questo abbia un impatto negativo sui suoi interessi e sulla sua reputazione».

La Cina ha risposto con note diplomatiche non meno dure e, soprattutto, spedendo 66 aerei e 7 navi nel mare davanti a Taiwan. La traduzione pratica di quanto contenuto nelle parole di protesta diffuse dal ministero degli Esteri: «La Nato mantenga il suo ruolo come organizzazione difensiva regionale nel Nord Atlantico». Ovvero: state fuori dai piedi.

La seconda trasformazione è quella della Nato in strumento preciso della strategia geopolitica degli Usa. Obama aveva invitato a rivolgere l’attenzione all’Indo-Pacifico, Trump aveva varato una politica di dazi ai danni di Pechino, Biden l’ha adottata e incentivata, trascinando dietro di sé anche l’Europa. L’ultimo provvedimento Ue: i dazi sulle auto elettriche cinesi passano dal 17,4% al 38,1%. Essere strumento del Paese che per decenni più di qualunque altro l’ha sostenuta e finanziata, per la Nato non è una novità e nemmeno una stranezza, alla fin fine. Il punto è che si affaccia una sorta di nuova suddivisione dei compiti, che possiamo riassumere così: a noi europei maggiori oneri e responsabilità nel contenimento della Russia, a loro americani il compito di confrontarsi con le ambizioni della Cina. Questo perché la visione generale è che Russia e Cina siano parte di un unico problema, due metà della stessa mela.

I puri di cuore parlano di «autocrazie contro democrazie», i cinici di conflitto di interessi sulla scena globale. Abbiamo finora parlato di guerre, navi, aerei. Ma con la Cina, che pure negli ultimi anni ha varato un imponente programma di riarmo, il problema è più vasto. Usa ed Europa mettono sotto accusa le sue ambizioni globali (il progetto della Nuova Via della Seta) e le sue strategie economiche, basate su un export molto aggressivo teso smaltire un surplus di produzione industriale favorito da sovvenzioni statali. Concorrenza sleale, insomma. Il tutto condito con una strategia diplomatica che ha portato Pechino a calpestare diversi giardinetti un tempo altrui in Africa e in Asia e persino in Medio Oriente. E a guidare con il suo yuan quei progetti di dedollarizzazione del commercio internazionale che stanno esercitando una qualche attrazione in ambito Brics e anche presso le petromonarchie del Golfo Persico.

Sulla lealtà delle relazioni internazionali si potrebbero scrivere libri solo per scoprire che tutti hanno i loro peccatucci. Far saltare gasdotti non pare pratica correttissima. E nemmeno stanziare tot miliardi per l’Ucraina salvo girarli alle proprie industrie degli armamenti, per dare poi agli ucraini il prodotto finito. Non è, di fatto, una sovvenzione statale?

Il punto vero, però, è che la Cina sta prendendo a spallate, senza riguardi e senza scrupoli, quel che resta della globalizzazione che fu, immaginata come un flusso da Occidente senza direzione contraria. Oggi, invece, Pechino ha raggiunto un tasso di industrializzazione tale, e di competitività anche in settori ad alta tecnologia, da renderle indispensabile un ruolo da protagonista sullo scenario globale. A quanto pare, sul pianeta non c’è spazio abbastanza per Usa e Cina insieme.

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