Esteri e difesa
serve più unione

La politica estera e di sicurezza dell’Unione europea (Pesc) è stata prevista nel Trattato di Maastricht del 1993 al fine di «preservare la pace, rafforzare la sicurezza internazionale, promuovere la cooperazione internazionale e sviluppare e consolidare la democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali». Con il Trattato di Lisbona del 2009 è stato fatto un ulteriore passo in avanti, istituendo l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e della sicurezza. C’erano quindi tutti i presupposti perché l’Unione potesse assumere un ruolo di primo piano nell’ambito delle strategie internazionali di politica estera e di sicurezza.

Ciò non è avvenuto e l’Europa ha mostrato una sostanziale debolezza su questioni d’interesse generale, non essendo stata quasi mai in grado di assumere posizioni unitarie a causa dei veti su varie proposte d’intervento, posti di volta in volta dai singoli Paesi all’interno del Consiglio europeo. Il Trattato di Maastricht ha infatti stabilito il «voto all’unanimità» per alcune materie considerate sensibili, come quella della politica estera e della sicurezza.

Sulla necessità di superare questa situazione di stallo si è in più occasioni soffermato il Parlamento europeo. In particolare, nella relazione all’inizio del 2020 sull’attuazione della Pesc ha auspicato un cambio di passo con «la realizzazione di una più efficace politica estera e di sicurezza comune europea in grado di rafforzare il ruolo globale dell’Ue e le sue capacità strategiche di azione». In quell’occasione, un folto gruppo di deputati ha sostenuto che il cambio di passo richiesto dal Parlamento sarebbe stato possibile solo con il passaggio dal voto all’unanimità a quello a «maggioranza qualificata». Questo avrebbe consentito all’Ue di ergersi quale interlocutore unico sulla scena globale nelle questioni più rilevanti e avrebbe permesso anche di rafforzare la «resilienza dell’Ue», proteggendo gli Stati membri dalla pressione esercitata da Paesi terzi nell’intento di indebolire l’Europa.

Nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione nel settembre 2020, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è tornata in argomento, ribadendo la necessità di passare a votazioni a maggioranza qualificata nel campo della politica estera «almeno» su sanzioni e protezione dei diritti umani. Esattamente un anno dopo ha nuovamente ribadito il proprio convincimento, aggiungendo anche «la necessità della creazione di una difesa europea, che miri alla stabilità del vicinato» e l’opportunità «dell’implementazione dell’interoperabilità tra le intelligence e polizie nazionali».

Con la crisi afgana in corso e con il notevole aumento dei flussi migratori, anche a seguito del progressivo ritiro degli Usa dal Medio Oriente e dall’Asia centrale, la volontà politica europea di creare una difesa comune si è fatta sempre più stringente e visibile. In un recente incontro tra Mario Draghi ed Emmanuel Macron si è discusso sull’opportunità della «creazione di una Difesa europea, che non vada a fare concorrenza alla Nato ma ad assumere un ruolo dove quest’ultima non ha più l’interesse ad essere presente». Il presidente Macron ha assunto l’impegno di porre la questione all’ordine del giorno in un summit che convocherà il prossimo gennaio, all’inizio del semestre francese di presidenza del Consiglio dell’Unione europea. In quell’occasione, non potrà non essere affrontata anche la necessità di procedere a una modifica del Trattato di Maastricht, con la sostituzione del voto all’unanimità con quello a maggioranza qualificata per politica estera e di sicurezza comune europea. Un necessario quanto urgente percorso di ammodernamento istituzionale comunitario, che dovrà tener conto anche delle recenti scelte di politica economica legate alla pandemia che hanno richiesto a tutti i Paesi membri di aumentare il proprio debito pubblico. Non a caso, il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), partendo dal presupposto che la crisi pandemica ha cambiato radicalmente il panorama economico europeo, ha già avanzato la proposta di procedere a una sostanziale riforma del Patto di Stabilità che, lasciando sempre al 3% il rapporto deficit/Pil, porti al 100% anziché all’attuale 60% il rapporto deficit/Pil.

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