L'Editoriale
Domenica 23 Giugno 2024
Est Europa, Mattarella e la storia da leggere
MONDO. Il 23 agosto 1989 nelle allora Repubbliche socialiste sovietiche di Estonia, Lettonia e Lituania due milioni di persone, tenendosi per mano, formarono una catena umana lunga 675 chilometri unendo le rispettive capitali, Tallinn, Riga e Vilnius.
La protesta è ricordata nella storia come la «Via baltica»: avvenne per attirare l’attenzione globale e rendere pubblica la volontà popolare di indipendenza dall’Urss nei tre Stati. Il presidente dell’Unione Sovietica Michail Gorbaciov si trovò davanti a un bivio: sopprimere le rivolte o riconoscere il dato di fatto. La nascita dei nuovi Paesi indipendenti (nel 1991) e la fine dell’Urss furono sanciti a Mosca prendendo atto che l’impero poteva stare insieme ancora solo con la forza ma che non era più il tempo. Lo scrittore di origine cecoslovacca Milan Kundera in un saggio ha accusato l’Occidente di non aver compreso come l’Unione Sovietica riuscì a far scomparire l’Europa orientale, azzerando identità, storia, lingue e culture di popoli. Storici esperti di quell’area hanno ricordato che alla caduta della «cortina di ferro» sorse quella «di vetro»: non visibile ma esistente, a separare la Russia dai suoi ex satelliti che dopo la caduta del Muro si proiettarono verso l’Unione europea e la democrazia. Un percorso lungo e travagliato ma sospinto dal consenso popolare.
Dal 2004 Vladimir Putin sostiene che «la fine dell’Urss è stata la più grande tragedia geopolitica del ’900». Non il nazismo. E in anni recenti ha fissato un obiettivo: «L’Ucraina è un non Stato, parte della Russia. È venuto il momento di rimediare agli errori del 1991 e ripristinare l’unità del popolo trino russo, ucraino e bielorusso». Un disegno imperialista improntato al revanscismo storico, messo in pratica con l’invasione dell’Ucraina iniziata nel 2014 e con la sottomissione della Bielorussia tramite un fedele alleato, il dittatore Aljaksandr Lukashenko. Come è possibile che nel dibattito pubblico non si prenda atto anche di queste evidenze uscendo dal manicheismo «è colpa della Nato» o «Putin vuole conquistare l’Europa»? La storia nel fianco est del continente sta presentando il conto di ciò che non abbiamo compreso: la ferita russa mai curata della sconfitta dell’Unione Sovietica. Il nuovo zar con i suoi metodi brutali sta cicatrizzando quella ferita, sulle pelle di altri popoli che non vogliono più tornare nell’orbita del Cremlino. È un passaggio tremendo che andrebbe analizzato senza il paraocchi delle ideologie.
Va dato merito al presidente della Repubblica Sergio Mattarella di aver denunciato da subito la natura imperiale dell’aggressione su vasta scala dell’Ucraina scattata il 24 febbraio 2024, giudizio ribadito nel viaggio compiuto in settimana in Moldavia e in Romania. Da Chisinau ha poi denunciato la disinformazione russa che fa presa pure nel dibattito pubblico. Certamente esiste la propaganda cosiddetta atlantista, peraltro verificabile e contestabile. Ma quella di Mosca ha fatto credere pure a tanti italiani che l’invasione è scatta anche per porre fine alla strage dei filorussi nel Donbas. Secondo i dati dell’Onu, nella regione orientale ucraina durante la guerra fra il 2014 e il 2021 sono morti oltre 3.600 civili, per il 40% legati a Kiev. La maggior parte nei primi due anni (3.038 vittime), mentre negli ultimi tre furono 78: Volodymyr Zelensky è il presidente ucraino che più dei predecessori ha applicato la de-escalation.
E come è possibile credere che il Donbas sia una regione naturalmente russa? Il nome significa «area carbonifera di Donetsk», cioè una zona limitata alla città orientale. Venne russificata da Stalin trasferendo popolazione, come la Crimea, perché ricca di miniere e industrializzata. In uno sperabile negoziato potrà essere riconosciuta a Mosca ma non in nome di un diritto storico, in ossequio invece ai rapporti di forza. Dai quali gli ucraini tentarono di sottrarsi nel 2014 quando scesero in piazza per protestare contro le pretese del Cremlino di far entrare Kiev nell’Unione doganale con la Russia e nell’Organizzazione euroasiatica, impedendo così l’avvicinamento all’Ue. Un cammino avviato anche da Chisinau. «Vogliamo vivere in libertà nello spazio europeo e siamo pronti a ogni sforzo» ha detto la presidente della Moldavia Maia Sandu nel colloquio con Mattarella. La tragedia che si consuma nell’Europa orientale è tutta in questa contesa.
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