Est Europa, la faglia pericolosa non vista

MONDO. Nelle scorse settimane in Bielorussia sono state arrestate 1.671 persone, per aver espresso sostegno all’Ucraina.

Tra queste, 200 hanno ricevuto condanne fino a 25 anni di carcere, con l’accusa di «estremismo» e «cospirazione contro lo Stato».

Secondo il Centro per i diritti umani Viasna, l’azione repressiva ordinata dal presidente Aljaksandr Lukashenko è stata portata a termine in condizioni disumane e con trattamenti psichiatrici forzati. La Bielorussia è alleata di Mosca e ha prestato il proprio territorio all’aviazione russa per bombardare la confinante Ucraina. Ancora da quel territorio sono partiti i battaglioni del Cremlino che nel marzo 2022 compirono l’eccidio di Bucha (a soli 60 chilometri dal confine) e cercarono di conquistare Kiev (a 90 chilometri). A ottobre il dittatore di Minsk, al potere dal 1994, ha però dichiarato: «Alcune persone nelle alte sfere di Mosca sono ansiose di annettere la Bielorussia, ma il tentativo di farlo si trasformerà in una guerra». Lukashenko prende sul serio le reiterate dichiarazioni (pubbliche da alcuni anni) di Vladimir Putin, per il quale «è venuto il momento di rimediare agli errori del 1991 e di ripristinare l’unità del popolo trino russo, ucraino e bielorusso». L’obiettivo non è la rinascita dell’Urss ma la creazione di un Impero pan-russo, che ricalcherebbe la Rus’ di Kiev, entità monarchica medievale alla quale il nazionalismo moscovita fa risalire l’origine dell’attuale Russia.

Come scrisse il filosofo Norberto Bobbio nel 1998, «l’umanità non ha affatto raggiunto la “fine della storia”. Forse è solo all’inizio». Quella fine era stata preconizzata nel 1992 dal politologo Francis Fukuyama, esito della caduta del Muro del Berlino. Un abbaglio: nell’Europa orientale siamo al secondo tempo dei subbugli figli dello scioglimento dell’Urss. Si è aperta una linea di faglia fra il revanscismo putiniano e le giovani, fragili democrazie nate dopo la morte dichiarata a Mosca dell’Unione Sovietica.

A Bucarest elezioni annullate

Una faglia tragica fra chi vuole riportare la storia indietro e chi avanti, che attraversa Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Georgia, fino alla Romania, ma anche Serbia e Bosnia. Venerdì scorso la Corte costituzionale di Bucarest ha annullato il primo turno delle elezioni presidenziali, tenutosi il 24 novembre scorso: i documenti desecretati certificano ingerenze russe nella campagna elettorale condotta su «TikTok» da Calin Georgescu, il candidato sovranista indipendente di estrema destra, dichiaratamente sostenitore di Putin e ammiratore di Donald Trump, vincitore a sorpresa del primo turno. Le inchieste hanno fatto emergere decine di migliaia di falsi account pro Georgescu sul social cinese, 85mila tentativi di hackeraggio contro il sistema informatico elettorale, partiti da oltre 30 Paesi, 381mila dollari pagati da un misterioso investitore straniero per saldare «80 dollari a chiunque fosse disponibile a promuovere l’immagine del candidato deciso a demolire il sostegno di romeni e Ue all’Ucraina» è scritto negli atti.

Le mire espansionistiche della Russia

La Russia non mira ad annettere tutti i Paesi confinanti o sue parti, ma dichiaratamente Ucraina e Bielorussia. Cerca invece di esercitare un controllo sugli altri Stati oltre le minoranze filo russe che vi abitano, attraverso la cosiddetta «guerra ibrida» che inquina i processi informativi ed elettorali, suscitando le reazioni delle opinioni pubbliche in prevalenza filo europee, che sono scese e scendono in piazza a decine di migliaia nella capitale moldava Chisinau, a Bucarest, a Tblisi e in altre città georgiane. Anche le Repubbliche indipendentiste filo russe (Transnistria, in Moldavia, Abkhazia e Ossezia del Sud, in Georgia) non vogliono essere annesse da Mosca, per non finire sotto un regime di leggi illiberali e repressive. Pure nel Donbas i filo russi chiedevano da un’ampia autonomia all’indipendenza e invece la regione ucraina è stata annessa dal Cremlino nel settembre 2022.

L’Europa occidentale fatica a vedere e a comprendere questa linea di faglia. Nei panni di vincitore festeggiò l’affermazione nella Guerra fredda. Ma in Russia è radicato il sentimento di appartenere a una storia imperiale e la sconfitta non è stata rielaborata. Non ha giovato la considerazione del grande Stato come «potenza regionale» da parte degli Usa, per via di un’economia che non ha un peso globale ma un Pil pari a quello dell’Australia. La storia nell’Est del nostro continente non solo non si è mai fermata ma si è rimessa in moto velocemente e con esiti imprevedibili.

© RIPRODUZIONE RISERVATA