Esecutivo alla Ciampi
fra tecnici e politici

Nel primo giorno delle consultazioni di Mario Draghi la Borsa di Milano ha segnato il suo massimo da un anno a questa parte e lo spread è sceso a quota 99 che non si vedeva dal governo di Prodi e Ciampi nel 1996. È lo stesso giorno in cui Giuseppe Conte rompe un pesante, amaro silenzio durato giorni e decide di fare una dichiarazione alle tv («ma per piacere non inquadrate Palazzo Chigi») in cui dà il suo appoggio al governo Draghi «purché politico», e così non delude il Quirinale - non si sa mai - e spinge i riottosi grillini a fare la cosa giusta e prova ad aprirsi la strada di una leadership politica, di un partito o di una coalizione si vedrà. Altro segnale: Luigi Di Maio invita i suoi compagni di partito «a dimostrarsi maturi». Parole che significano una sola cosa: vedete di non fare sciocchezze, dobbiamo sì chiedere un governo «politico» (cioè con alcuni di noi che fanno i ministri e i sottosegretari) ma ci conviene stare con Draghi e con l’Europa e con Mattarella, altrimenti siamo fuori da tutto.

Ultimo segnale: Silvio Berlusconi si è già seduto comodamente al tavolo della maggioranza da formare e anzi rivendica di averlo inventato lui, Mario Draghi, quando lo candidò alla Bce. Mossa quest’ultima largamente prevista che divide il centrodestra in tre partiti: chi ci sta (Forza Italia), chi proprio non ci sta (Giorgia Meloni) e chi ci pensa (Salvini). Quest’ultimo in particolare ha il problema che parecchi dei suoi (Giorgetti, Zaia, Fedriga, insomma l’elettorato del Nord) vorrebbero salire sul carro ma lui non sa se gli conviene e così prende tempo e lancia ultimatum: «Draghi scelga tra noi e i Cinque Stelle». Così facendo fa - chissà se volontariamente o meno - un piacere a Draghi e a Di Maio: senza la Lega infatti i grillini contrari avrebbero meno argomenti. Infatti il Pd coglie la palla al balzo e precisa: non c’è nessuna possibilità di un governo con Salvini. Il M5S merita un’osservazione in più: è un ribollire di correnti tra loro in guerra che si stanno dividendo sul cosa fare. È chiaro che Di Maio vuole entrare nel nuovo governo mantenendo il ministero degli Esteri o diventando vicepremier ma lui e quelli che la pensano come lui devono vedersela con i descamisados di Alessandro Di Battista pronti a salire sulle barricate. Vedremo come va a finire, se ci sarà una scissione o se continuerà il lento sgretolamento che porta via un paio di parlamentari a settimana. Dopo aver governato prima con l’odiato Salvini, poi con l’odiato Pd-partito di Bibbiano, ora i grillini dovrebbero allinearsi al simbolo dei banchieri Mario Draghi e infine sedere accanto nientedimeno che a Berlusconi. «Maturità», la chiama Di Maio.

Infine Renzi: si gode il risultato politico ottenuto e ostenta la modestia (cosa per lui difficilissima) del king maker: bisognerà vedere cosa otterrà nelle trattative.

Conclusione: si va lentamente delineando un governo alla Ciampi, con ministri tecnici e anche politici, sorretto da una maggioranza «Ursula» tra gli stessi partiti che all’Europarlamento votarono per Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea: Pd, M5S, Forza Italia, centristi vari più LeU. Resta fuori chi votò contro la pupilla di Angela Merkel: Meloni e Salvini. I conteggi dei voti in Parlamento sono ancora in corso ma ci dovrebbero essere, anche al netto del dissenso grillino. Tutti sanno quali sarebbero le conseguenze economiche, politiche, istituzionali e internazionali di una clamorosa bocciatura del salvatore dell’euro che ci porterebbe alle elezioni anticipate e a perdere il treno del Recovery Fund (209 miliardi).

© RIPRODUZIONE RISERVATA