L'Editoriale
Lunedì 03 Giugno 2019
Esame di maturità
per la Lega
La vera sorpresa di quest’ultima tornata elettorale non sta nell’aver assegnato la palma del vincitore a Salvini e retrocesso Di Maio a junior partner della coalizione giallo-verde: il risultato era scontato. Non era inaspettato nemmeno lo scavalco registratosi tra i due soci di maggioranza. La novità che merita di essere sottolineata è piuttosto quella che attribuisce alla Lega il ruolo di partito dominante.
Per dominante intendiamo quell’unico partito che in un sistema politico è in grado di formare una maggioranza di governo appoggiandosi indifferentemente a più partner. È la condizione privilegiata, di cui ha goduto la Dc per circa un cinquantennio e che le ha permesso di varare coalizioni di tutti i tipi: di centro, di centrodestra, di centrosinistra e persino di «compromesso storico» (col Pci). Con la Lega non siamo ancora a tanto, ma poco ci manca.
Il Carroccio, sempre che confermi alle politiche i risultati ottenuti alle europee, si trova nell’invidiabile condizione di poter governare forse addirittura da solo; comunque sia, può allearsi o con il M5S o con Fratelli d’Italia e Forza Italia, mentre il Pd non è (ancora) in grado di animare un’alternativa.
Le analogie con il partito dello Scudo crociato non finiscono qui. Se si guarda la cartina elettorale emersa domenica scorsa, si scopre che l’insediamento leghista non si discosta troppo da quello storico democristiano: massiccio al Nord, rilevante sia al Sud che al Centro. La mappa elettorale rivela un ulteriore dato che avvicina la Lega alla Dc di un tempo. Il suo insediamento risulta preponderante nelle stesse «aree bianche», ossia laddove la presenza dei cattolici è storicamente egemone. Sono sempre queste (Veneto e Lombardia, soprattutto nella fascia pedemontana e nei centri minori) che hanno dato i natali al primo leghismo: quelle stesse che trent’anni fa, di fronte al primo affacciarsi di una globalizzazione selvaggia, hanno lanciato l’allarme contro quella minaccia incombente. Insieme ad un’aggressiva concorrenza economica, il nemico fu allora individuato nel meridionale scansafatiche per cui il Nord era «la mucca da mungere». Oggi lo sono l’immigrato clandestino, la finanza mondialista, l’euroburocrazia, i poteri forti internazionali. È cambiata la misura della comunità da preservare. Prima da difendere erano le «piccole patrie», oggi è l’intera nazione.
Rimarcare la presenza di forti analogie tra Dc e Lega non significa affermare che siamo in presenza della rinascita, sotto mentite spoglie, della Balena Bianca. I due partiti si distinguono certo, innanzitutto, per il profilo politico: l’uno era di centro, l’altro è oggi nettamente di destra. La questione che abbiamo posto è però un’altra. Il Carroccio si presenta come nuovo partito dominante. Perché lo diventi davvero, deve superare almeno due sfide. La prima: viviamo tempi in cui nulla è scontato. I partiti (come s’è visto con il Pd di Renzi e lo stesso M5S di Grillo) si gonfiano e si svuotano in men che non si dica. Parimenti, sorgono e tramontano nel giro di una sola stagione nuove leadership. Fa bene Salvini a tenersi sul comodino, non sappiamo se per scaramanzia o come ammonimento, l’immagine dell’altro Matteo. La bolla elettorale si può sgonfiare al primo passo falso. La seconda prova che attende il segretario della Lega è l’esame di maturità. Ha dimostrato doti straordinarie di comunicatore, non ancora quelle - non osiamo dire di statista - ma almeno di uomo di governo capace.
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