Equilibrismi «ottomani» con Erdogan al centro

Erdogan in visita ufficiale nei Balcani. Ankara mediatrice principe in Ucraina; protagonista militare in Siria, in Iraq e Libia; detentrice di una rilevante voce in capitolo in Somalia e Mali; minacciosa nel Mediterraneo. Due domande sorgono spontanee: ma la Turchia che gioco fa? Con chi sta Ankara nello scacchiere internazionale in una fase di estrema polarizzazione? Gli occidentali sospettosi parlano di «neo-ottomanismo».

In realtà, finora Erdogan, utilizzando la sua crescente influenza in politica estera, sta soprattutto tentando di aprire i mercati stranieri alle merci turche. Nei Balcani la sua delegazione era composta da ben 8 ministri e dalla crema dell’imprenditoria nazionale. Qui Ankara ha espresso interesse per i progetti per la costruzione di infrastrutture, ad esempio l’autostrada Belgrado-Sarajevo. Erdogan si è proposto in Serbia, Croazia e Bosnia Erzegovina come il politico capace di abbassare la tensione in teatri difficili, l’uomo che lavora per la pace e per la stabilità. Ma è davvero così? Poche ore prima del suo viaggio nei Balcani il leader turco ha lanciato i propri strali contro la Grecia per la «militarizzazione» delle isole nel mar Egeo, rivendicate da Ankara. «Possiamo arrivare di notte all’improvviso», ha avvertito Atene, le cui Forze armate avrebbero puntato - giorni fa - dei missili contro dei caccia F-16 turchi in ricognizione.

Negli ultimi mesi gli esercizi di equilibrismo più spericolati turchi si sono osservati nei rapporti con la Russia e l’Ucraina. Con una premessa: fin dal 2014 Ankara, legata ai tatari di Crimea – popolo turcofono della penisola contesa –, non ha riconosciuto l’annessione di Mosca. Questo non ha, però, impedito a Erdogan e Putin di accordarsi per il controllo della Siria settentrionale. In quel teatro il Cremlino difende l’alleato storico, la famiglia Assad, odiata da Erdogan. Un ultimo elemento: l’aviazione federale gestisce lo spazio aereo siriano settentrionale, impedendo al momento che Ankara inizi un’offensiva contro i curdi e le forze filo-Usa.

Tornando agli equilibrismi, la Turchia ha venduto all’Ucraina grandi quantità di droni, che hanno inferto gravi perdite ai russi; allo stesso tempo riceve dai russi imponenti quantità di gas e ha aiutato il Cremlino nell’accordo per il grano. È vero che si doveva liberare l’export dei cereali ucraini, ma Mosca aveva anche la sua produzione bloccata. Insomma, un ginepraio. Membro dell’Alleanza atlantica dal 1952, con le seconde Forze armate più forti della Nato dopo quelle Usa, a lungo candidata all’adesione all’Unione europea, la Turchia invero sta cercando - oggi dopo il golpe del luglio 2016 contro Erdogan - di crearsi un proprio spazio di influenza.

Il suo tallone d’Achille è però l’economia: il tasso di inflazione ha raggiunto l’80% annuale; il Pil nel 2022 è impantanato; il debito estero a breve è preoccupante; il corso della lira si è inabissato. Con le elezioni alle porte nel 2023 Erdogan gioca la carta nazionalista e la sua immagine di statista all’estero per aumentare le proprie chance di vittoria. L’Italia si è trovata recentemente su fronti opposti, rispetto a questa Turchia emergente, in particolare in Libia e nel Mediterraneo orientale, dove sono stati rinvenuti giacimenti strategici di gas. Il vertice di luglio tra Erdogan e Draghi ha avuto l’obiettivo di riavvicinare i due Paesi con un interscambio annuale da 20 miliardi di euro. Escogitare qualche equilibrismo vincente con Ankara sarà indispensabile per Roma per far valere i propri interessi sulle sponde sud ed est del Mediterraneo.

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