L'Editoriale
Venerdì 21 Febbraio 2020
Equilibri precari
per l’economia
Di rinvio in rinvio, il milleproroghe può anche ottenere la fiducia parlamentare, ma ci sono fatti concreti che non si possono rinviare, perché già accaduti, e pesano come macigni, ingenerando sfiducia economica. In ordine di apparizione: l’effetto coronavirus, la riduzione italiana del Pil di -0,3 nell’ultimo trimestre 2019, e la botta del meno 1,3 del prodotto industriale, mai così giù da sei anni.
La Cina era diventata una locomotiva mondiale, e ora è semi paralizzata nel suo cuore produttivo: le 14 province del virus sono quelle che fanno il 70% del Pil e il 76% delle esportazioni. Il riflesso italiano vale 13 miliardi di nostre merci, quasi tutte di pregio. I guai sono cominciati nel pieno delle festività cinesi, una manna per i prodotti del lusso Made in Italy. Si pensi cosa sarebbe il nostro Natale con i negozi chiusi, e purtroppo la cosa continua perché un sistema autoritario riesce a chiudere in casa milioni di persone. Un’azienda come Pirelli dipende per il 12% dalla Cina e ha due su tre stabilimenti fermi.
Se il Pil cinese scende sotto il fatidico 5% di crescita, la ricaduta mondiale sarà pesante anche da noi, perché il peso cinese sull’economia è oggi del 16%, quadruplo rispetto ai tempi dell’ultima crisi da virus epidemico, la Sars.
Gli scenaristi prevedono per ora un effetto limitato a livello mondiale, ma l’Italia rischia, anche solo per questo (poi c’è tutto il resto) non solo di mangiarsi il +0,2% di crescita indicato dagli ottimisti, ma di trascinarci sottozero. E non dimentichiamo che la cosiddetta recessione tecnica scatta dopo due trimestri consecutivi con segno meno. Siamo già a metà strada.
Che la Germania stia proporzionalmente peggio di noi non è un’attenuante, può consolare solo la retorica anti Merkel, ma è un’aggravante, dato che dipendiamo da Berlino ben più che da Pechino. E la classifica dello sviluppo ci vede sempre in fondo. La produttività è bloccata da vent’anni.
Insomma, il quadro è quello di un Paese colpito nei suoi punti di equilibrio. Se in questi anni ce la siamo cavata senza crollare è stato per la vecchia cara produzione industriale, sorretta da un settore automotive che sarà anche antico, ma ancora funzionava, e soprattutto dall’export. Se quest’ultimo asse cede, andiamo giù tutti. E infatti l’auto lascia sul terreno addirittura il 13,9%. Con il pantografo si conferma lo stesso effetto in una provincia industriale ed esportatrice come quella di Bergamo. Qui si sommano due guai: chi vende, vende di meno, chi produce si blocca perché non arrivano i componenti cinesi.
Il 2020, anno bisestile, comincia insomma nel peggiore dei modi. Anche volendo evitare la polemica politica, e cioè la perfetta sovrapposizione tra questi guai e gli anni della prevalenza del populismo, che hanno scelto ragioni di spesa solo dipendenti da promesse elettorali, ci vorrebbe un soprassalto di impegno maggiore. Vivacchiare e rinviare non è stabilità, ma palude.
Gli unici sintomi positivi vengono dalla almeno dichiarata volontà di impegnarsi in due settori - tasse e pensioni - devastati negli ultimi anni da demagogie varie. Ma l’attualità è condizionata da ben altro, da 150 crisi azienadali in crescita e dalla funzione supplente della magistratura rispetto ai vuoti della politica. E pensare che la giustizia, anziché smantellare principi secolari dello stato di diritto, avrebbe bisogno di attenzione spasmodica, se un Procuratore, come a Bergamo, deve pagare di tasca sua le assicurazioni dei collaboratori...
Forse siamo ancora a tempo a cambiare verso di questo 2020. Non vorremmo dare ragione, per raffronto, a chi definiva «bellissimo» il 2019!
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