Enti inutili
battaglia persa

Da oltre sessant’anni governi e governanti, nessuno escluso, continuano a propinarci la favoletta della lotta aspra senza paura agli Enti pubblici inutili, dicendoci di volerli eliminare senza se e senza ma, salvo produrre in merito, puntualmente, risultati inesistenti. Con l’ingresso dell’Italia nell’Unione europea e il conseguente impegno di riduzione della spesa pubblica, si sperava potesse cambiare qualcosa. In realtà nulla di significativo è accaduto, almeno fino al 2008 quando – per iniziativa del compianto Tommaso Padoa Schioppa, ministro del Tesoro del governo Prodi – fu emanato un decreto legge che istituì una Commissione per la Finanza pubblica. Questa, dopo sei mesi di lavoro consegnò un rapporto contenente ben novanta «raccomandazioni», che il successivo governo Berlusconi non tenne in alcuna considerazione, pur riconfermando retoricamente l’impegno d’intervenire pesantemente sugli Enti inutili.

Emblematico quanto accaduto con il ministro della «Semplificazione» Calderoli, che il 28 ottobre 2009, ospite a «Otto e Mezzo», annunciò: «A fine mese succederà una cosa che non è mai successa in Italia. Cadrà la ghigliottina sugli Enti inutili che non si sono ristrutturati, non hanno chiuso, non hanno ridotto il personale e non hanno tagliato le spese». Parole audaci e roboanti (per l’appunto, parole), che seguivano un’altra dichiarazione rilasciata qualche mese prima al quotidiano «Il Giornale»: «Scompariranno circa 34 mila enti inutili, che bruciano risorse solo per sopravvivere, tutti con i loro presidenti e Consigli di amministrazione».

Con il successivo governo Monti nel 2011 furono individuati circa 500 enti inutili tra i più costosi da eliminare, visto che la spesa per il loro mantenimento fu stabilita intorno ai dieci miliardi l’anno. Tra questi alcuni residuati dell’epoca sabauda e fascista, come l’Opera nazionale combattenti (1917), i Tribunali delle acque, i Bacini imbriferi montani, i numerosi Enti parco regionali e Consorzi di bonifica, nonché gli oltre 600 enti strumentali delle Regioni, sparsi in tutta Italia. Anche in questo caso non si è a conoscenza di risultati concreti. Con i governi Letta, Renzi e Gentiloni, attraverso la «spending review» affidata a tre commissari che si sono succeduti - Cottarelli, Perotti e Gutgeld - sono stati realizzati risparmi di spesa anche consistenti, ma nessun sostanziale passo avanti è stato fatto per l’eliminazione degli Enti inutili. Matteo Renzi, in particolare, con lo slogan «Sforbicia Italia» aveva annunciato una «guerra serrata» a detti Enti e un complessivo snellimento della Pubblica amministrazione attraverso: la riduzione delle Prefetture da 106 a 40; la trasformazione dell’Enit, con la soppressione di gran parte delle 23 agenzie provinciali; il taglio sostanziale delle sedi periferiche dell’Istat e della Ragioneria dello Stato; la riduzione e riqualificazione dei 20 centri di ricerca a pochissimi centri di eccellenza; la riorganizzazione e la riduzione delle sette Authority indipendenti, con il trasferimento dei compiti di alcune di esse a organi dello Stato o alla Banca d’Italia.

Di tutto ciò si è visto ben poco. Il meccanismo con il quale anche i più antiquati tra gli Enti inutili sono riusciti a sopravvivere ha presentato non poche astute variabili. In alcuni casi, Enti già decretati inutili sono stati rianimati attraverso emendamenti parlamentari. In altri casi la procedura per la cancellazione è stata tramutata in riorganizzazione.

Altre volte è stata cambiata la denominazione dell’Ente, modificando lo Statuto e individuando altre finalità che non sono state successivamente perseguite. Infine, quando tutte le iniziative di contrasto non hanno trovato adeguato sbocco, si è passati al ricorso al Tar per la sospensiva del provvedimento e, successivamente, ai tempi lunghi del Consiglio di Stato per il giudizio nel merito.

Evidentemente, alla base di tutto c’è l’interesse di gran parte della classe politica a mantenere in vita organismi che, se pure inutili per la collettività, servono a preservare logiche di potere. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole. Neanche, pare, sotto questo tenue sole di un ordinario autunno italiano.

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