L'Editoriale / Bergamo Città
Giovedì 08 Ottobre 2020
Egemonia monetaria
ed equilibri politici
Tra i vertiginosi sussulti e disequilibri della contemporaneità globale e globalizzata, va tenuta d’occhio e analizzata con grande attenzione la sempre meno tenace egemonia del dollaro sulle altre monete. Tale egemonia ebbe inizio il 22 luglio 1944 con la Conferenza e i conseguenti accordi di Bretton Woods che stabilirono un nuovo ordine monetario concordato tra 44 nazioni, dando vita al gold exchange standard. Si trattava di un sistema monetario basato su rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte legate al dollaro che veniva agganciato all’oro con un rapporto di cambio di 35 dollari per oncia. Detto sistema subì un pesante contraccolpo il 15 agosto 1971, quando il presidente Richard Nixon decise di sospendere la convertibilità del dollaro in oro perché il Tesoro americano - il cui debito era enormemente cresciuto per la guerra in Vietnam - non era più in grado di sostenere le richieste di convertibilità per le quali erano già state impegnate 90.000 tonnellate di oro.
La decisione unilaterale di Nixon sorprese non poco e fu molto criticata, ma il clima politico del tempo era quello della «guerra fredda» tra Russia e Usa e ai Paesi alleati di quest’ultima sembrò inopportuno rompere i rapporti con uno Stato che, grazie alla sua potenza economica e militare, garantiva gli equilibri internazionali. Per stabilire un riferimento all’oro erano inoltre stati istituiti i «Diritti speciali di prelievo» (1969), una valuta di conto presso il Fondo Monetario Internazionale il cui valore fu ricavato da un paniere di monete attualmente costituito da dollaro Usa, euro, yen giapponese, sterlina britannica e yuan cinese. I Dsp hanno funzionato come misura dei rapporti all’interno del Fondo, ma non hanno mai sostituito il dollaro come valuta di riferimento per gli scambi internazionali.
Dall’inizio del nuovo millennio sono intervenuti avvenimenti di grande rilievo che hanno messo in discussione l’egemonia del dollaro. Con la costituzione dell’euro si è dato vita ad una moneta assai stabile e apprezzata dai mercati a cui molti Paesi oggi guardano con interesse. Inoltre, Cina e Russia hanno posto in essere varie iniziative con l’esplicita intenzione di superare radicalmente le regole definite con gli accordi di Bretton Woods. L’iniziativa di maggior rilievo è rappresentata dalla costituzione del Brics (2006), un accordo finanziario tra Brasile, Russia, India, Cina cui si è aggiunto il Sudafrica. Questi Paesi nel 2014 hanno firmato un’intesa che ha previsto la creazione di una grande banca di sviluppo denominata Brics, con sede a Shangai e con un capitale di 50 miliardi di dollari, che può contare su un fondo strategico di capitali di riserva di 100 miliardi. Con la creazione di questa banca, che ha lo scopo di operare in concorrenza con la Banca Mondiale, si è fatto un primo importante passo verso la de-dollarizzazione del mercato globale a cui mirano da tempo Russia e Cina. Non a caso da qualche anno la Russia sta procedendo a grandi acquisti di oro sul mercato, contribuendo ad innalzarne la quotazione, ma anche a dare maggiore attrattività alla propria valuta. Dal canto suo la Cina - attraverso grandi investimenti in Africa, in Sud America, in Asia e in Europa con la «Via della Seta» - sta assumendo sempre più i connotati di una grande potenza. La storia ci ha insegnato che la moneta non è solo mezzo di pagamento ma è anche, se non soprattutto, strumento di potere. La moneta di riferimento per il sistema economico e finanziario è sempre stata quella del Paese egemone: la Spagna nel XVI secolo; l’Olanda nel XVII; la Francia nel XVIII; la Gran Bretagna nel XIX; gli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale sino ai nostri giorni.
Negli ultimi anni, però, una netta inversione di tendenza è stata operata da Donald Trump che, con la sua scelta sovranista - «America first» - e il conseguente blocco di grandi accordi multilaterali, ha determinato un progressivo isolamento statunitense. Tutto ciò mentre la Cina realizzava importanti accordi commerciali in tutto il mondo e si faceva strenua sostenitrice, caso invero singolare per un paese comunista, del libero mercato. In questo nuovo clima - a meno di una svolta della politica americana dopo le prossime elezione - non si può fare a meno di chiedersi se il dollaro possa a lungo continuare ad essere la sola moneta di scambio.
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