L'Editoriale
Lunedì 01 Giugno 2020
Economia sommersa
Il governo risponda
Con la partenza della fase 2, che ci vede chiamati a convivere diligentemente col virus, il governo ha ritenuto necessario intervenire per fornire un concreto contributo a cittadini e imprese per le conseguenze derivanti dalla chiusura degli ultimi due mesi di quasi tutte le attività. Così, ai due decreti di marzo e aprile, che hanno dato origine ad aspre critiche per la farraginosità della loro applicazione, si è aggiunto il «superdecreto» di maggio che prevede interventi per 55 miliardi. Un importo straordinario pari a circa tre manovre finanziarie. Si tratterà ora di vedere se, dopo l’esperienza negativa dei precedenti decreti, questo nuovo provvedimento riuscirà a trovare una sua applicazione più immediata.
Fra i vari problemi aperti dal lockdown è infatti emerso, in tutta la sua tragica dimensione, anche quello delle estreme condizioni di povertà di oltre tre milioni di cittadini impiegati nell’ambito dell’economia sommersa e illegale. Queste attività - che rappresentano uno dei più grandi problemi che il nostro Paese si trascina da decenni - hanno subito un fermo quasi totale, facendo temere gravi conseguenze per la stessa tenuta sociale e per l’ordine pubblico. Secondo una recente indagine dell’Eurispes, il sommerso ammonterebbe a circa 540 miliardi di euro pari al 35% del Pil, ben maggiore di quello stimato dall’Istat (13% del PIL pari a 240 miliardi).
All’economia sommersa si aggiunge quella criminale stimata in 250 miliardi che in buona parte si riversa sull’economia ufficiale attraverso il riciclaggio. Fortunatamente, le situazioni più critiche sono state superate fin dai primi giorni di marzo con la distribuzione di beni di prima necessità da parte della Protezione civile, di tutte le Caritas presenti sul territorio nazionale e di molti Comuni, Province e Regioni, anche grazie al supporto di un gran numero di meravigliosi volontari.
In questa situazione il governo era chiamato a dare una risposta incisiva e strutturale in grado di fornire un sostegno più adeguato. Peraltro, si rendeva necessario impedire che il persistere di situazioni di bisogno fornisse alla criminalità organizzata l’opportunità di offerte di lavoro in nero, specialmente nel settore agricolo dove persiste la concreta minaccia del caporalato. In realtà, il super decreto ha affrontato solo marginalmente tale problema, prevedendo da un lato il «reddito di emergenza» - che riguarderà oltre 3 milioni di cittadini cui, a seconda del reddito, saranno erogati da 400 a 800 euro per due o tre mesi - dall’altro la regolarizzazione per sei mesi di 200.000 immigrati irregolari (braccianti, colf, badanti) che hanno già lavorato nel 2019. Nessuna iniziativa è stata invece assunta per favorire i rientri nell’ambito del lavoro regolare. In questa direzione hanno agito provvidenzialmente importanti associazioni di categoria che - approfittando dell’impossibilità di tornare in Italia a causa del coronavirus di circa 200.000 braccianti stranieri - si sono adoperate per collocare lavoratori nei campi con contratti regolari. Confagricoltura ha predisposto nel mese di aprile la piattaforma «Agrijob» alla quale sono pervenute 17.000 domande, di cui 12.000 di italiani. Nello stesso mese, Coldiretti ha lanciato la sua banca dati - «Job in country» - alla quale si sono iscritti 10.000 lavoratori (di cui 9.000 italiani) e continuano le iscrizioni ad entrambe le piattaforme. Evidentemente, la drammatica esperienza del Covid 19 ha posto al centro il valore della tutela del lavoro, diffondendo la convinzione che vada evitata la pericolosa spaccatura sociale che deriva dalle diverse condizioni di impiego tra chi è regolare e chi lavora in nero. Per raggiungere questo obiettivo si rende indispensabile un’incisiva azione del governo che, attraverso la predisposizione di un adeguato impianto normativo, impegni gli organi centrali e periferici dello Stato, gli organi di polizia e la magistratura ad individuare e perseguire sul piano economico e penale chiunque ponga in essere attività economiche illegali. Basterebbe usare lo stesso metro d’intransigenza e inflessibilità con cui è stato imposto a noi tutti di restare chiusi in casa per salvarci e salvare il Paese.
© RIPRODUZIONE RISERVATA