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MONDO. A 100 giorni dall’insediamento, la presidente Ursula von der Leyen non esclude l’ipotesi di sussidi europei per la difesa. Viene quindi incontro alle richieste del governo italiano.
Dei 150 miliardi messi a disposizione dalla Commissione europea, all’Italia spettano 33 miliardi di euro che però nel tempo vanno restituiti e quindi gravano sul debito pubblico. Per Roma un carico che squilibra i conti e appesantisce il risanamento delle finanze pubbliche. È la crescita economica il vero antidoto all’eccessiva esposizione finanziaria. Ma in piena transizione energetica con un modello di sviluppo inceppato e con un conflitto militare in atto senza la protezione Usa, diventa difficile tener il passo. Se lo possono permettere gli Stati con ampio spazio fiscale, cioè con poco debito.
Ecco perché le spese per la difesa possono diventare il tallone d’Achille dell’Unione. Se i migliori si permettono di mettere mano al portafoglio senza intaccare lo Stato sociale, gli altri devono stringere la cintura e rinunciare al potenziamento del welfare per dare maggiori risorse alla difesa.
In questi giorni in Germania il salario minimo sale a 15 euro all’ora, le pensioni vengono aumentate di circa il 4% e i rinnovi contrattuali, per esempio a «Deutsche Post», sono al 5%, in più l’aumento dei giorni di ferie. Il minacciato disimpegno degli Stati Uniti dall’Europa provoca allarme soprattutto nei Paesi maggiormente esposti ad un attacco militare russo. La Polonia ha annunciato di volere procedere al reclutamento e all’istruzione militare di ogni maschio adulto, con l’obiettivo di giungere a mezzo milione di effettivi. Il primo ministro danese Mette Frederiksen è determinata a potenziare il riarmo del suo Paese e lo stesso vale per gli altri Paesi scandinavi e i baltici. Sono questi gli ascoltatori attenti di Macron.
Il presidente francese ha un solo obiettivo: creare una forza militare europea autonoma in previsione di un definitivo abbandono degli Usa. Con la Francia potenza atomica, Macron ne sarebbe l’alfiere ed entrerebbe di diritto nella sala di comando. La Germania con il suo piano di riarmo sposa la linea francese. Il cancelliere in pectore Friedrich Merz due giorni dopo le elezioni del 23 febbraio è volato a Parigi per prendere subito contatto con il suo alleato d’oltre Reno. Il rilancio economico che si ripromette con il suo piano di investimenti pluriennali rafforza il suo status di nazione guida e gli concede quella centralità che con il governo «semaforo» era andata perduta.
Le spese per la difesa possono diventare il tallone d’Achille dell’Unione. Se i migliori si permettono di mettere mano al portafoglio senza intaccare lo Stato sociale, gli altri devono stringere la cintura e rinunciare al potenziamento del welfare per dare maggiori risorse alla difesa
Per non essere schiacciata tra i due pesi massimi, Giorgia Meloni mantiene aperto uno spazio politico di intervento e non chiude a Trump. È sufficientemente esperta per capire le lune del suo interlocutore, seguirne gli umori e impedire il distacco traumatico di Washington dalla seconda metà del mondo libero. Certamente gioca un ruolo la vicinanza politica e ideologica del primo ministro italiano verso Trump ma decisiva è la posizione dell’Italia. Con 500 miliardi a credito per le infrastrutture e circa 400 miliardi di euro per la difesa, con un fondo speciale extra bilancio Berlino dà via libera all’indebitamento. L’effetto boom dell’annuncio di Merz ha fatto balzare di 29 punti base i tassi sui Bund tedeschi a 10 anni, superando il 2,7% in controtendenza con il ribasso dello 0,25% della Bce. Risultato: gli interessi italiani sul debito sono aumentati, proprio mentre il governo italiano sperava in un loro calo per effetto delle decisioni di Francoforte.
Ecco come una decisione nazionale non concordata va a collidere con la politica dell’unica istituzione veramente europea dell’Ue. La politica intergovernativa mostra i suoi limiti. L’Europa deve aspirare ad istituzioni sovranazionali in grado di tracciare le linee della politica economica comune.
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