L'Editoriale
Lunedì 03 Ottobre 2022
Economia, guerra e il rapporto euro-dollaro
Il commento. Nel corso degli ultimi mesi è emerso in modo sempre più evidente il ribaltamento di ruoli dominanti avvenuto fra dollaro ed euro. Rispetto ad un recente passato in cui la riconquista della parità con l’euro era il principale obiettivo della Federal Reserve, oggi appare chiaro come il conseguimento di una parità con il dollaro sia divenuto un obiettivo prioritario della Bce.
A inizio anno con un euro si potevano acquistare 1,15 dollari, mentre in questi giorni il cambio si sta assestando più o meno intorno alla parità. In pochi mesi l’euro si è dunque svalutato del 16% e questo per varie ragioni. La principale è attribuibile alle differenti politiche monetarie condotte dalle banche centrali, dalla Bce e dalla Federal Reserve. Quest’ultima, in presenza di un favorevole andamento dell’economia, nonostante la crescita dell’inflazione, ha deciso un progressivo rialzo dei tassi di 250 punti base - 325 dal 21 settembre. All’ascesa del dollaro ha contribuito anche il favorevole andamento della bilancia dei pagamenti americana, che ha registrato un sensibile surplus delle partite correnti.
La Bce ha invece attuato una politica monetaria molto meno aggressiva di quella della Federal Reserve, per la preoccupazione di non ostacolare la crescita dell’economia che si presentava e continua a presentarsi piuttosto debole. Solo di recente, in presenza di un preoccupante aumento dell’inflazione, che ha raggiunto le due cifre, la Bce ha deciso un aumento dei tassi dello 0,75, portando il tasso principale all’1,25, cioè ad un livello tale da non creare gravi ripercussioni sul piano economico. Tuttavia, è di questi giorni l’annuncio che nei prossimi mesi, in previsione del permanere di una preoccupante crescita dell’inflazione, la Bce si vedrà costretta a decidere ulteriori aumenti dei tassi. Va osservato, però, che oltre alle decisioni di politica monetaria, un pesante impatto sul cambio dell’euro è stato determinato dall’andamento negativo della bilancia dei pagamenti dei principali Paesi europei, che hanno registrato un forte deficit della bilancia commerciale.
Colpisce in particolare come la Germania, principale economia dell’eurozona cui è stato a lungo rimproverato l’eccessivo surplus della bilancia dei pagamenti, abbia registrato per la prima volta dal 1981 un deficit commerciale. Tale debolezza dell’economia europea si traduce in maggiore inflazione importata e minore crescita, condizione questa che è destinata ad accentuarsi per il permanere della guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina. L’applicazione alla Russia di sanzioni economiche da parte degli Usa e dell’Europa ha indotto Putin a razionare le forniture di gas, il cui prezzo è salito alle stelle anche per l’intervento delle immancabili manovre speculative. C’è da attendersi che, se non interverranno misure di contenimento del prezzo del gas, l’euro possa registrare altre flessioni rispetto al dollaro, che beneficia di una posizione di vantaggio in quanto gli Usa sono autosufficienti dal punto di vista energetico e, oltretutto, in condizione di effettuare un volume consistente di esportazioni di gas liquido.
Non va dimenticato di sottolineare che ulteriori vantaggi derivano al dollaro dal permanere del suo ruolo di moneta di riserva e, quindi, di bene rifugio. Questa vantaggiosa prerogativa si era ritenuto fosse destinata a cessare dopo che, nel 1971, il presidente Richard Nixon decretò unilateralmente la inconvertibilità del dollaro in oro (35 dollari l’oncia). Tutto ciò non è avvenuto per la grande forza sempre dimostrata dall’economia americana, che ha favorito l’utilizzo del dollaro nella quasi totalità degli scambi internazionali. È fallito anche il tentativo di sostituire il dollaro quale moneta di riserva costituendo un «paniere» di monete forti (dollaro, euro, sterlina, yuan), perché il progetto è rimasto solo sulla carta. Da ultimo alcuni tentativi di limitare l’utilizzo del dollaro sono ripresi per contrastare gli effetti delle sanzioni applicate alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, ma con risultati assai modesti. Putin ha cercato, per ora con compromessi al ribasso, di spingere sulla vendita di gas e petrolio in rubli. L’India ha fatto qualche timido tentativo di dare maggiore peso alla rupia. Anche la Cina ha cercato di dare maggiore peso allo yuan ma, sino ad ora, hanno avuto risultati assai modesti anche i tentativi di utilizzare prevalentemente lo yuan negli scambi con i Paesi aderenti all’accordo del Bric (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).
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