L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 03 Marzo 2020
Economia in ginocchio
l’aiutino dell’Europa
Domani il presidente del Consiglio Conte incontrerà le parti sociali (che ieri hanno già visto il segretario del Pd Zingaretti) e sarà la volata, dopo un breve passaggio parlamentare, per il varo del decreto da 3,6 miliardi (cui vanno aggiunti altri 900 milioni) che è la prima risposta «organica» all’emergenza da coronavirus. Il ministro dell’Economia Gualtieri ha ottenuto rapidamente un primo 0,2% di flessibilità sul deficit che consente di varare questa spesa «eccezionale».
Il commissario agli Affari economici della Ue Gentiloni, riecheggiando il Mario Draghi della crisi finanziaria, ha detto che l’Europa farà tutto il necessario per impedire che l’epidemia proveniente dalla Cina ci riporti alla recessione e abbia ricadute troppo gravi sull’economia del Vecchio Continente.
Dunque il quadro che emerge da questi elementi è che tutto sommato da Bruxelles e da Francoforte arriva una risposta ai timori che si vanno affollando man mano che aumentano i contagiati (ma anche i guariti, per fortuna) non solo in Italia ma anche negli altri Paesi. Basterà? Certo che no. Basta ascoltare il presidente della Confindustria Boccia che chiede una sorta di Piano Marshall europeo da 3 mila miliardi, una enormità, che però fa capire il livello delle attese degli imprenditori e, di conseguenza, dei sindacati dei lavoratori che già vedono moltiplicarsi le richieste di cassa integrazione da parte di aziende messe in seria difficoltà da questa sorta di paralisi progressiva che sta contagiando, è il caso di dirlo, tutta la nostra vita sociale.
Va da sé che sui numeri balla anche una certa – benché abbastanza rituale – polemica politica. È soprattutto Matteo Salvini che, come ha fatto dall’inizio della crisi, smettendo solo per i cinque minuti della telefonata con Conte, torna ad attaccare il governo e «l’aspirina a chi è malato di broncopolmonite», chiedendo subito uno stanziamento di 50 miliardi, più o meno il 2,5 per cento del Pil. Una cifra che chiaramente dovrebbe essere spesa tutta in deficit con una flessibilità molto più alta di quella chiesta e ottenuta da Gualtieri e che difficilmente potrebbe essere concessa da Ursula von der Leyen e soprattutto dai soliti Paesi del Nord, virtuosi e avari. Ma tanto basta per agitare le acque. Senza contare il malcontento grillino verso il Pd che mostra, da più segni, di voler acquistare in questa fase una maggiore visibilità giustificata dalla buona salute dei suoi conti elettorali. Lo stesso Gualtieri ha ottenuto - per quanto in una competizione suppletiva segnata da un eccezionale livello di assenteismo - quindici volte i voti del candidato grillino nel collegio di Roma 1 dove si trattava di sostituire Paolo Gentiloni dimessosi per il nuovo incarico europeo, e dove il rappresentante del Movimento che governa Roma da tre anni si è fermato ad un misero 4% di voti. Qualcosa di più di un disastro. Anche con questa circostanza si spiega il nervosismo del M5S irritato dall’incontro tra Zingaretti e il mondo economico sindacale che deve tanto aver ricordato l’analogo «summit» convocato a suo tempo da Matteo Salvini al ministero dell’Interno. Il punto politico di questa fase però ruota tutto intorno alle conseguenze che si scaricheranno sul governo dalla gestione della epidemia e soprattutto della crisi economica montante: se Conte riuscirà a tamponare la situazione, la narrazione di palazzo Chigi sull’efficienza della «situation room» potrà continuare. Ma questo sarà possibile solo se si riusciranno a trovare altri soldi per aiutare le imprese a rimanere a galla. Non saranno i 50 miliardi chiesti ad alta voce da Salvini (che ha il grande vantaggio di non doverli cercare) ma nemmeno i 3-4 miliardi che usciranno dal Consiglio dei ministri di venerdì.
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