Ecologia e lavoro
Cura del creato

Questa pandemia ci ha mostrato l’urgenza di invertire la rotta nel nostro modo di vivere «la casa comune». E il fatto che la 49ª Settimana sociale dei cattolici italiani che avrà per titolo «Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso», si svolgerà a Taranto, città emblematica di un modello dannoso e purtroppo non del tutto superato in tante altre città europee e del mondo nel concepire il rapporto salute e ambiente, è il segno più evidente che la Chiesa italiana non vuole voltarsi dall’altra parte, ma offrire il proprio contributo a cambiare le cose. In questo percorso si inserisce la 16ª Giornata nazionale per la Custodia del Creato, in programma da domani al 5 settembre, che ci propone di «camminare in una nuova vita.

La transizione ecologica per la cura della vita». Quelli che ci aspettano nel futuro immediato sono grandi cambiamenti, che investiranno tanto i grandi sistemi quanto la vita di ogni singolo cittadino. Certo ci resta la grossa domanda di quanto i nostri governi potranno spingere sull’acceleratore della «transizione ecologica» fintanto che la maggioranza della popolazione sembra ancora mancare di una chiara percezione della posta in gioco riguardo la risposta alla crisi climatica. Una transizione ecologica basata sulle soluzioni e sui co-benefici del contrasto alla crisi climatica ambientale abbraccia l’interesse di istituzioni e cittadini, ed equivale alla scoperta di nuovi diritti alla salute, al benessere, alla giustizia e alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica per le presenti e future generazioni.

Come ricordò Calamandrei oltre 60 anni fa, ciò di cui si parla oggi con la transizione ecologica è, per tutti i cittadini, «non solo il diritto ma il dovere di camminare verso un impegno di rinnovamento sociale non più revocabile». Si tratta dunque di ribadire fortemente l’unione tra l’istanza ecologica e quella sociale, per rendere tempestiva e giusta la transizione economica e industriale a cui siamo chiamati. E per tornare ai numerosi messaggi che da sempre la Dottrina sociale della Chiesa propone e che in moltissimi pronunciamenti Papa Francesco ribadisce, non servono solo attenzioni «tecniche» perché questo avvenga ma soprattutto serve uno stile di fraternità tra di noi e tra i popoli, abbandonando l’attuale stile di vita consumistico che ancora caratterizza il nostro vivere quotidiano. A riguardo di questo mi pare ci siano almeno due grossi ostacoli da affrontare. Il primo è oggettivo e riguarda la cultura. Occorre un processo culturale, che opportunamente molti hanno paragonato al cammino dell’Esodo. Il rimpianto per ciò che si lascia rappresenta sempre una paura e un freno al cambiamento, ma non dobbiamo dimenticare che lasciamo un modello che si è dimostrato fallimentare, togliendoci lo sguardo sul Creato come dono di Dio Padre di tutti e di conseguenza sulla dignità violata di tanti nostri fratelli impossibilitati ad accedere al minimo per sopravvivere. L’altro ostacolo è il modello economico, che sostiene ancora troppo poco chi vuole o cerca di intraprendere concretamente un cammino diverso che spesso resta dentro a percorsi di nicchia o difficilmente praticabili e ancora troppo costosi per diventare diffusamente concorrenziali. Dobbiamo invertire la rotta facendo costare di più ciò che inquina o non rispetta la casa comune e rendere accessibili strumenti e pratiche che invece vanno verso una transizione ecologica popolare e non solo delle grandi istituzioni o imprese. Assieme a questo non dimentichiamo che una transizione ecologica e giusta, mette assieme difesa del Creato e difesa del lavoro, auspicando un nuovo patto sociale. Certo anche questa è una grande scommessa che parte anzitutto dalla sfida educativa.

Lo stesso Papa Francesco partendo dalla Laudato si’ ci chiede di educare perché si comprenda che al centro del patto sociale ci deve essere il bene comune, che va ben oltre il bene individuale e persino di parte, «oltre un mondo di soci». La salvezza di uno è la salvezza di tutti. Questo è un momento storico che per le nostre generazioni risuona come un grande appello; lasciamoci interpellare, non sottraiamoci all’appuntamento.

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