È urgente il rammendo
delle relazioni

Quello che impressiona nella tragica vicenda di Marisa Sartori, la ragazza di Curno uccisa dall’ex marito da cui si era separata, è l’età: aveva solo 25 anni. Così giovane ha avuto il tempo di vivere una parabola che era iniziata dall’amore, passata per il matrimonio nel 2012 prima in Tunisia e poi nelle sue terre, ed è finita con la separazione, il ritorno alla casa dei genitori e il tragico epilogo nell’androne di casa, al civico 23 di via IV Novembre. Tutto si è consumato in un fazzoletto di anni, quasi senza avere il tempo di capire e rendersi conto di quello che stava accadendo.

Una velocità che ha lasciato sconvolta la stessa piccola comunità che conosceva bene Marisa (lavorava in un salone di parrucchiera a Mozzo) e che le voleva bene. Probabilmente c’era già preoccupazione, se la sorella Deborha si era premurata di andare a prenderla dopo la giornata di lavoro e di accompagnarla a casa; precauzione purtroppo inutile, perché la stessa sorella è finita sotto la furia dell’ex marito ed è ricoverata all’ospedale Giovanni XXIII.

È una tragedia che arriva ad appena due settimane da un altro tragico epilogo di una storia di coppia: quella di Stefania Crotti, 42 anni, la donna di Gorlago, il cui corpo è stato ritrovato carbonizzato. In questo caso l’imputata è Chiara Alessandri, l’ex amante del marito. Se guardiamo le foto delle due vittime di questi fatti accaduti a poca distanza di tempo e nell’ambito di uno stesso territorio, quello Bergamasco, non possiamo non restare colpiti dalla bella e anche elegante normalità che le contraddistingue. Le sorprendiamo tante volte anche sorridere. È davvero difficile, vedendo i loro volti, immaginare quale destino si stia scatenando sulle loro vite. È un’osservazione che ci fa capire come in queste vicende tante volte prevalga un umanissimo tentativo di pensare che anche dopo la rottura di un rapporto sentimentale si possa recuperare un equilibrio, una sofferta normalità. Invece quante volte purtroppo la violenza esplode improvvisa, incontrollata, come un’eventualità non messa nel conto?

E allora viene da chiedersi se dietro quei volti così normali e anche sereni, non si nasconda un non detto, una paura che non si vuole far uscire allo scoperto. Ha detto molto bene mercoledì su queste colonne Sara Modora, la coordinatrice di Aiuto Donna, quando ha spiegato che l’importante per queste donne «è aiutarle a nominare quello che vivono, a non minimizzare e a rimettere al centro se stesse». «Nominare quello che vivono»: che non vuol dire semplicemente denunciare, ma portare a galla un malessere non detto, una paura che si tiene coperta per evitare le conseguenze che un’ammissione potrebbe causare. Per questo in una società come la nostra dove le reti sociali si sono tante volte dissolte e le relazioni tra le persone sono sempre più distanti e formali, diventa prezioso il lavoro di chi, con molta discrezione, riesce a rompere questi silenzi. È il lavoro di associazioni spesso costituite da professionisti specializzati che intervengono laddove il tradizionale tessuto della comunità non riesce più a intervenire. Abbiamo visto che ce ne sono tante anche nel territorio Bergamasco, e che lavorano non solo in direzione delle vittime, ma anche in quella dei violenti, quelli che vengono definiti gli «uomini maltrattanti». Certo questa è una direzione molto più difficile, ma fa capire come l’unico strumento per evitare che episodi come questi si ripetano e si moltiplichino, è un lavoro di prevenzione, umile e destinato a essere costellato certamente di fallimenti.

D’altra parte i numeri resi noti dalla ricerca pubblicata da L’Eco fanno capire quanto questo percorso sia importante e urgente. La crescita delle denunce per stalking in provincia è a dir poco impressionante, con un più 84% e un numero di episodi di violenza denunciati che sfiorano i 600 all’anno. È il segno che anche un territorio come quello Bergamasco, non fa più eccezione: e che la crisi del rapporto di coppia è qualcosa di profondo, che non riguarda solo la sfera privata ma scuote anche l’organizzazione sociale (la bandiera a mezz’asta a Curno è emblematica). Non si può pensare di restaurare un bel modello morale che gli stili di vita della globalizzazione hanno travolto. Ma certo si può credere e investire in un paziente lavoro di rammendo delle relazioni.

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