È urgente fare il punto sull’utilizzo del Pnrr

ITALIA. Ora che Raffaele Fitto è insediato a Bruxelles e sostituito a Roma, è urgente fare il punto sull’attuazione del Pnrr, perché i conti a prima vista non tornano, dentro una questione che vale sette volte l’intera legge di bilancio 2025.

Non possiamo permetterci un flop dopo aver preteso l’intera fetta di torta da 194 miliardi, moltissimi dei quali a debito. Altro che 20 euro in meno del canone tv… La valorizzazione dei trascorsi democristiani di Fitto, rispetto alla mediocrità della classe dirigente meloniana, lo ha aiutato a uscir vivo dalla graticola di Strasburgo. Ma non sarà facilmente dimenticato il carico critico su questo strano governo italiano di destra andato a zigzag tra il no iniziale a von der Leyen e alla sua maggioranza di centrosinistra, e il sì finale (senza Lega), con tanto di giuramento filo europeista di FdI, che sull’antieuropeismo anche più ruvido ha campato da quando è nata, dal no euro alla pacchia finita.

La scommessa vinta della Meloni

Nella sostanza, è indubbiamente riuscita la scommessa di Giorgia Meloni sull’indispensabilità di una presenza italiana qualificata nel vertice europeo, e sulla necessità di evitare – bocciando von der Leyen – una folle distruzione dell’Unione proprio nell’attesa dello scontro con i sovranisti di mezzo mondo. Ma è difficile pensare che chi ha digerito il rospo politico di una maggioranza allargata senza essere concordata, sia pronto a far sconti a Fitto commissario se non sarà rigoroso sui risultati del Fitto ministro. Dunque, sarà bene che il Pnrr sia presentato in Europa in modo se non impeccabile (è ormai impossibile), quanto meno dignitoso.

Il Pnrr e le riforme

Vedremo cosa succederà con la richiesta della prossima tranche di pagamento e con la gran corsa a recuperare il tempo perduto, compreso quello trascorso dal neo Commissario per imparare le lingue. Non potendo per decenza chiedere rinvii generali, siamo già i primi d’Europa per modifiche ottenute, ultima pochi giorni fa: ben quattro, per 27 misure e 45 scadenze (50 miliardi di opere infrastrutturali cancellate), con un crescente affanno a spendere in fretta (e male?), e non impegnandosi davvero nelle operazioni più strategiche. Sono le riforme (che già fanno acqua, vedi giustizia e concorrenza) e soprattutto la questione chiave della riduzione delle disuguaglianze di genere, territoriali e generazionali. Sono temi di grande respiro e proprio per questo oggetto di una misura straordinaria come il Pnrr. Se si sbaglia qui, è finita la logica del Next Generation Ue.

Openpolis, l’agenzia indipendente che monitora l’andamento attuativo del Pnrr, segnala che da mesi tutto tace, non è facile accedere ai dati, sapere ad esempio quali e quanti dei ben 262mila progetti siano davvero in corso di attuazione. Siamo ancora fermi ai dati del 30 giugno, quando i fondi Pnrr già erogati in due anni erano 51,4 miliardi pari a circa il 26% del totale, per cui ora l’Italia, entro fine 2026, dovrà portare al Commissario Fitto la bellezza di altri 140 miliardi di spesa rendicontata.

Le statistiche disponibili sono impietose, con 26 misure quasi ferme al palo, e tra queste ci sono cose come le politiche attive del lavoro, l’edilizia scolastica, il trasporto rapido di massa, la digitalizzazione ospedaliera, gli asili nido, gli autobus regionali e ci fermiamo perché dovremmo scorrere l’abc dei problemi del Paese.

Il Pnrr e il Pil mancato

Speriamo che siano giuste le valutazioni di Bankitalia e Ance che – con loro rilevazioni – parlano di un 20% di più nei progetti reali fatti, ma solo per i decreti attuativi del suo Ministero, al momento della sua promozione europea, Fitto era in ritardo per il 40%, seguito dai settori ambiente e disabilità. Ma soprattutto c’è una grande prova del nove che fa sospettare che il Pnrr sia un gigante di carte e cioè il fatto che oggettivamente non è riuscito a dare la spinta prevista al Pil. Le rilevazioni 2024 sono tutte al ribasso, e ora siamo vicini allo 0,7%. Senza Pnrr saremmo insomma sottozero, peggio messi della Germania e della Francia? E non parliamo del +3,4% della Spagna. Ci sono settori come la metallurgia al -15%, come la moda a -24%, l’auto a -23%, il tessile a -26%. L’Italia si sta fermando, è necessario che il nuovo ministro Foti si faccia spiegare in fretta cosa fare.

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