L'Editoriale / Bergamo Città
Lunedì 01 Febbraio 2021
E l’ipotesi Mario Draghi
torna ad aleggiare
Oggi Roberto Fico, esploratore della crisi, intende verificare con i partiti della maggioranza se esistano le condizioni per un programma comune che faccia da base ad un possibile nuovo governo con la stessa maggioranza di quello appena caduto. È escluso che in questa fase si torni a parlare del nome del prossimo presidente del Consiglio: è stato Renzi ad imporre che prima si discuta del programma e poi dei nomi, e sembra che Fico adotti questo metodo (che consente al senatore di Rignano di mantenere le carte coperte e a tutti di prendere tempo).
Ciò non toglie che l’ipotesi del governo tecnico-politico continui ad aleggiare: il nome di Mario Draghi è così forte nel tam tam di Palazzo che addirittura il Quirinale è stato costretto a smentire che ci siano stati contatti tra Mattarella e l’ex presidente della Bce: smentita più dovuta che altro, par di capire.
Per il momento i brontolii più preoccupanti per l’esploratore Fico provengono dal Movimento Cinque Stelle. Da quando Luigi Di Maio e Vito Crimi hanno detto di non avere pregiudiziali negative su Italia Viva, i grillini sono entrati in fibrillazione: molti di loro dicono di non volerne più sapere di Renzi, e Alessandro Di Battista, che è il capofila della minoranza interna, ha addirittura minacciato la scissione nel caso in cui l’ex premier rientri in maggioranza. Ora, molti considerano queste agitazioni come tattiche in vista della distribuzione delle poltrone ministeriali dalle quali nel Conte-due molti sono stati esclusi (Barbara Lezzi, per esempio, che da quando non è stata confermata ministro ha preso a contestare Di Maio, come anche Nicola Morra che ha visto frustrata la sua richiesta di diventare Guardasigilli).
D’altra parte, quando si parla di grillini bisogna sempre premettere che su tutto prevale la paura di elezioni che – stando ai sondaggi – farebbero una strage di deputati e senatori pentastellati, e questo sicuramente induce ad una certa disponibilità al compromesso.
In ogni caso, qualora davvero un gruppo del M5S si staccasse creerebbe un problema serio al Senato dove, nonostante il rientro di Italia Viva e l’apporto dei volenterosi potrebbe di nuovo non essere assicurata la maggioranza assoluta. E questo è un elemento che, Conte o non Conte, dovrebbe essere preso in considerazione: l’estrema friabilità del partito di maggioranza relativa in questo Parlamento è una delle cause principali della debolezza dell’equilibrio politico che infatti è stata delegato, fino a che è stato possibile, proprio a Conte. Il venir meno del collante costituito dalla leadership del presidente del Consiglio scatena dinamiche auto-distruttive tra le quali appunto la frantumazione in mille pezzi del Movimento Cinque Stelle.
Quanto al Pd, Zingaretti da una parte deve rispondere all’accusa di scarsa iniziativa politica (a vantaggio di Renzi), dall’altra è l’unico in grado di assicurare a Mattarella un minimo di stabilità per il futuro. Piuttosto il problema di Zingaretti è procurarsi un piano B rispetto all’indicazione di Conte: se l’incarico si allontanasse definitivamente per il presidente dimissionario, i dem dovrebbero pensare o ad un proprio candidato (Franceschini?) o ad una soluzione tecnico-istituzionale a maggioranza Ursula (gira la voce di Paolo Gentiloni se non fosse più utile in questi frangenti averlo come commissario all’Economia a Bruxelles).
Vedremo al termine dell’esplorazione cosa Fico potrà portare al Quirinale: di fronte ad un possibile fallimento del grillino più alto in carica, Mattarella si sentirebbe rinfrancato nell’imboccare la strada che, guarda caso, continua a portare a Mario Draghi.
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