È il Mes la vera prova
per il premier Conte

Giuseppe Conte è tornato a Roma tra gli elogi del presidente della Repubblica, dei leader della maggioranza e persino di una parte dell’opposizione. Questo significa che il presidente del Consiglio è più saldo sulla sua poltrona ma non esclude nuovi problemi politici. Il fatto che Conte abbia condotto bene la trattativa a Bruxelles e sia tornato con un risultato di 209 miliardi tra prestiti e sussidi, quindi migliore rispetto ai 172 di partenza, è un elemento di stabilità: nessuno metterebbe in crisi un governo che si appresta a spendere una tale cifra. Dunque le ipotesi di larghe intese con un presidente diverso oggi sono assai più deboli. Ma la situazione potrebbe ugualmente richiedere il «soccorso azzurro» di Silvio Berlusconi. Vediamo perché.

Come tutti hanno capito i soldi del Recovery Fund sono tanti ma non saranno gratis e nemmeno pronta cassa. Sui tempi, possiamo ipotizzare che comincino ad arrivare nel secondo trimestre 2021, forse aprile, per andare avanti sino al 2023 (ci potrebbe essere un anticipo del 10% all’inizio dell’anno prossimo); sulle condizionalità, il compromesso del Consiglio europeo ha sì respinto l’idea dell’Olanda di consegnare ad ogni partner il potere di veto sui piani di spesa altrui, ma non per questo ha reso agevole la procedura. Per riscuotere bisogna presentare un piano non generico – l’unico Paese che finora non l’abbia fatto è l’Italia – che deve passare l’esame della Commissione e del Consiglio europeo, e se un partner non condivide può richiedere un supplemento di valutazione. Del resto, è la prima volta nella storia che i 27 Paesi membri danno mandato alla Commissione di indebitarsi a nome loro e oltretutto per una cifra gigantesca: va da sé che il controllo su come si spendono quei soldi sia comune. L’Italia dovrà presentarsi all’appuntamento con impegni precisi in materia di investimenti, fisco, giustizia, lavoro e tutte le riforme strutturali che inseguiamo da anni.

E nel frattempo? Nel frattempo c’è il Mes che non solo può erogare quasi in tempo reale (ottobre-novembre) i 37 miliardi che si spenderebbero per la sanità, ma paradossalmente ha meno condizionalità del Recovery Fund appena concordato. Eppure sul Mes Conte ripete il suo no mentre Pd e renziani insistono: «Quei soldi servono subito per affrontare un autunno difficilissimo». Il problema è la spaccatura nel M5S che sull’argomento – diventato chissà perché «identitario» – si gioca addirittura una possibile scissione tra Di Maio e Di Battista. Al Senato il governo ha un margine esilissimo e i grillini dissidenti potrebbero determinare una sonora sconfitta.

A meno che non intervenga Berlusconi. Come dicevamo, il «soccorso azzurro» è pronto a scattare in cambio di un avvicinamento all’area di maggioranza (che sta già fruttando qualcosa in termini di nomine e sottogoverno).

Insomma, il problema è ancora aperto.

L’opposizione sovranista nel frattempo prova a lucrare un vantaggio dalla situazione ma è in reale difficoltà, soprattutto Salvini. Mentre la posizione di Giorgia Meloni sul compromesso europeo è abbastanza sfumata, Salvini insiste a sostenere che si tratta di «una fregatura», fingendo di ignorare quel che tutti vedono: che l’Europa ha fatto un enorme passo avanti che è un vantaggio soprattutto per noi e di fatto ha autorizzato gli eurobond (a suo tempo proposti da Tremonti e poi da Prodi e Monti) che erano fino alla pandemia addirittura innominabili in tutto il Nord e oggi si emettono per la cifra colossale di 750 miliardi. Senza contare che Salvini si ritrova alleato quell’olandese Wilders che diceva «Neanche un centesimo all’Italia» e un Orban pronto ad allearsi con Conte contro l’Olanda pur di ottenere una più generosa fetta di torta.

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