E gli aiuti alla striscia dividono il Parlamento

ITALIA. Il Parlamento italiano non è riuscito a parlare con una sola voce sul conflitto israelo-palestinese.

Non è infatti stato possibile votare un unico documento, comune a maggioranza e opposizioni, come era accaduto quando scoppiò la guerra russo-ucraina ai tempi del governo Draghi. Sono comunque state approvate tutte le quattro risoluzioni alla Camera e le tre mozioni al Senato, e ciò vuol dire che maggioranza e opposizioni si sono votate a vicenda la gran parte dei documenti presentati ma si sono sfilate sulle affermazioni su cui non erano d’accordo. Le differenze non sono da poco: il centrodestra infatti ha scritto un risoluto «basta» agli aiuti umanitari destinati a Gaza, considerati come un sostegno ai terroristi di Hamas, mentre le opposizioni si dicono contrarie alla cessazione delle forniture di gas, elettricità e cibo disposta da Israele verso la Striscia.

Pare che su questo punto palazzo Chigi si sia assolutamente impuntato: la condizione per una mozione comune era che si appoggiasse la ritorsione israeliana sugli aiuti (che peraltro in Europa sta spaccando parecchie forze politiche). Inoltre, il voto della destra alla mozione PD-M5S-Verdi è stato possibile solo dopo che è stata stralciata una frase in cui si addebitava al governo Netanyahu e ai coloni parte della responsabilità di quanto sta accadendo: presentata separatamente, questa mozione è stata bocciata dall’Aula; il governo infatti non accetta alcuna equiparazione tra le responsabilità di Hamas e quelle di Israele mentre su questo la sinistra è assai meno convinta. Tant’è che il discorso di Elly Schlein, benché chiaro nel ricordare il diritto di Israele di esistere e di difendersi e nel condannare il terrorismo di Hamas, tuttavia ha chiesto di non attuare il blocco totale a Gaza «per evitare l’escalation».

Giorgia Meloni aveva molto sperato che da Roma potesse arrivare un messaggio chiaro verso Israele ma anche verso Washington; così non è stato, anche se la condanna dell’assalto è comunque apparsa molto più chiara che in passato quando il partito pro-palestinesi era molto più forte e rumoroso in Parlamento e in giro per l’Italia. A proposito della premier, nella visita alla Sinagoga di Roma, dove si è recata per portare la solidarietà del governo alla Comunità Ebraica, ha detto di temere che ci possano essere atti emulativi anche sul nostro territorio e dunque ha annunciato misure di maggiore protezione per i cittadini di fede ebraica e poi significativamente ha aggiunto: quello che abbiamo visto nelle ultime ore è qualcosa di più di uno scenario di guerra, è invece la manifestazione di odio nei confronti di un intero popolo, è l’antisemitismo che diventa guerra ad Israele.

Ma l’attenzione di Meloni e del suo ministro dell’Economia Giorgetti, alla vigilia della presentazione della manovra di bilancio (venerdì ci sarà l’incontro a palazzo Chigi con le parti sociali), è anche sulle conseguenze economiche di questa nuova guerra che è scoppiata: si teme per i livelli di crescita già rivisti al ribasso dal Fmi (per il ’23 l’Italia crescerà dello 0,7% e non dell’1,1; per il ’24 sarà sempre dello 0,7 e non dello 0,9%) e si teme per i prezzi dell’energia. A Giorgetti è stato chiesto se questa situazione porterà a modificare i numeri della Nota aggiuntiva del Def: la risposta del ministro è stata cautissima («andiamo al vertice del Fmi in Marocco e poi ne parliamo») anche se ha aggiunto, e non poteva non farlo, che l’instabilità derivante dalla guerra medio-orientale e dalle tensioni geopolitiche mondiali, è comunque un fattore di allarme per l’economia italiana e per i nostri conti pubblici (sui quali, ha ricordato, dobbiamo essere ferrei).

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