Due Giugno, i garanti di un’Italia confusa

Il due Giugno dell’anno scorso, alla Festa della Repubblica, Sergio Mattarella dal Quirinale stava idealmente salutando gli italiani al termine del suo settennato.

Il due Giugno di quest’ anno Mattarella è all’inizio di un nuovo settennato: l’incapacità dei partiti di eleggere un nuovo presidente ci ha garantito comunque un buon presidente che oggi tutela l’intero quadro istituzionale, quello che vede Mario Draghi guidare un governo di «salute pubblica» trascinando dietro di sé partiti in larga parte riottosi che pensano solo alle prossime elezioni che pure non vogliono continua a anticipare per paura che sanzionino il loro fallimento. Coalizioni prive di collante, partiti ormai sull’orlo del conflitto interno o dell’auto-scioglimento, vanno avanti nella maggioranza eterogenea con un solo obiettivo: cercare di raggranellare più voti possibile in vista, appunto, del voto che prima o poi ci sarà. Questo loro tentativo avrà una verifica tra poco, in questo mese, quando si andrà a votare per le amministrative da cui però ci si attendono più regolamenti di conti interni che non veri terremoti per il governo. È proprio l’instabilità dei partiti e delle coalizioni la migliore garanzia per Draghi di poter continuare sino alla fine della legislatura.

Nello stesso tempo però l’affannosa ricerca di consenso (vedi la partita sulle concessioni balneari) dei partiti rende la marcia dell’esecutivo più lenta e contraddittoria, soprattutto sulle riforme indispensabili per il Pnrr. Ecco perché il ruolo di Mattarella è oggi ancor più indispensabile: è la garanzia che questo equilibrio regga, che il Paese non sbagli rotta, che a Palazzo Chigi ci sia ancora qualcuno che sa manovrare la nave nel dopo pandemia, nel pieno della guerra, della crisi economica, dell’inflazione al 7% e del debito pubblico sempre più pesante, restando saldi nella collocazione atlantista ed europeista. Sono parole che Draghi l’altro giorno ha ripetuto da Bruxelles ed è apparso chiaro che si riferiva a quella (gran) parte della sua maggioranza che pencola fin troppo verso le ragioni di Putin e vorrebbe rimangiarsi la scelta unanime del Parlamento di aiutare gli ucraini a difendersi con le armi di fronte agli invasori russi. Da una parte Salvini che scivola per la seconda volta prendendo un’iniziativa fallimentare (quella di andare a Mosca per conto suo) e coperta di critiche e improperi; dall’altra Conte che insiste per chiedere un voto sulle armi che sì gli assicura l’appoggio di una parte dei grillini ma nello stesso tempo lo mette sempre più in collisione con Di Maio. Quanto possa durare questo precario dis-equilibrio dentro la Lega e il M5S non è dato sapere, ma certo non a lungo.

La stessa idea di Salvini di andare a Mosca è stata implicitamente criticata da Giorgetti (anche se poi il resto del vertice di partito ha difeso il capo) e sono molti a pensare che presto tra i due verrà il momento della verità, soprattutto se le amministrative andranno male (e se, viceversa, Fratelli d’Italia andrà bene). Stesso discorso per quel che riguarda il M5S: Di Maio e Conte sono dichiaratamente l’uno contro l’altro: entrambi dovranno misurarsi con il voto che, come ci dicono i sondaggi, assomiglierà ad un bagno di sangue (almeno nelle poche realtà locali in cui i grillini sono riusciti a mettere in piedi una lista). Questo contenzioso chiama in causa il Pd che confida nel sostegno pentastellato per mettere in piedi una sorta di coalizione capace di battere il centrodestra quando quest’ultimo deciderà finalmente il proprio assetto di combattimento.

Come si vede, c’è grande confusione sotto il cielo. Ecco perché Mattarella è l’unico in grado di proteggere l’equilibrio che consente a Draghi di governare, per come può, questa stagione straordinariamente difficile.

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