Due città insieme
nel segno del riscatto

Germoglia da un’idea di riscatto, di rinascita la candidatura di Brescia e Bergamo a capitali italiane della cultura. C’è la volontà di lasciarsi alle spalle mesi durissimi, che ci hanno segnato per sempre, dai quali bisognerà pur trarre qualche beneficio, non soltanto ricordi di morte e angoscia. Ripartire dalla cultura vuol dire tendere la mano a migliaia di persone rimaste senza un lavoro, cercare di risollevare un settore che più di altri ha patito mesi di stop forzato. Musei, teatri, cinema, biblioteche e librerie chiusi non significano solo mancati profitti, accresciuti dall’indotto del turismo e del commercio. La cultura cura l’anima e ciba la mente, per questo l’idea di ripartire assume un significato simbolico importante per due delle città più duramente colpite dal Covid-19.

Ricominciare dalla bellezza, dall’arte, dallo stare insieme è un bel modo per dimostrare che il peggio è passato e che costruire un futuro migliore è possibile. Nel presentare la candidatura i primi cittadini di Brescia e Bergamo non hanno parlato di cifre, di soldi, nemmeno di progetti. Hanno invece scelto di usare altre parole: fiducia, comunità, integrazione, coesione, cultura come strumento di ricostruzione. Certo, andranno trovate le risorse, nessuno lo nega, ma per una volta la motivazione sembra contare di più. E la frase «facciamo squadra» in questa occasione assume un significato meno scontato.

Servirà un dossier per convincere il ministero della Cultura che abbiamo le carte in regola per diventare capitale italiana della cultura nel 2023. Negli ultimi anni Bergamo ne ha prodotti due, con alterne fortune. Il primo per diventare capitale europea della cultura nel 2019; non è andata bene, non avevamo un’idea forte - ci disse la commissione giudicatrice - , saremmo voluti andare «oltre le Mura» ma ci stopparono prima, il progetto non aveva respiro internazionale e non sembrava sufficientemente condiviso dalla cittadinanza. È andata meglio con il sito transnazionale che ha messo insieme le fortificazioni della Serenissima di tre nazioni, Bergamo capofila con le sue Mura, ed è stato riconosciuto dall’Unesco patrimonio dell’umanità.

Stavolta il Mibact chiede che il progetto «valorizzi i beni culturali e paesaggistici della città e ne migliori i servizi ai turisti». Ce la possiamo fare. Prima che l’emergenza sanitaria ci mettesse in ginocchio eravamo in forte risalita, con un turismo cittadino ben avviato, festival di musica e teatro, mostre, proposte enogastronomiche apprezzate dagli stranieri sempre più numerosi grazie allo scalo di Orio. «Dovremo reinventarci», è stato detto ieri da sindaci e assessori alla cultura. Non sappiamo se e soprattutto quando gli stranieri torneranno a visitare la nostra città, questa estate si punterà a un turismo di prossimità, a eventi culturali dalle dimensioni ridotte, ingressi contingentati e spettatori a debita distanza.

L’idea per il 2023, par di capire, non è di puntare su effetti speciali ma di valorizzare quello che una città come la nostra ha da offrire. E a ben vedere non è poco. Un centro storico invidiabile, un teatro rimesso a nuovo, una miriade di realtà artistiche e culturali pronte a mettersi in gioco, un fitto cartellone di iniziative. Brescia, che pensava da un po’ a questa candidatura, sembra intenzionata a puntare sul suo patrimonio archeologico e sul sogno, a lungo accarezzata, di un museo dedicato al lavoro.

Bergamo non è da meno e questa volta può contare sull’appoggio dei cugini e su una comune voglia di rinascita.

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