Draghi mediatore
Sui vaccini decide lui

La prima conferenza stampa da presidente del Consiglio per Mario Draghi, il primo provvedimento del suo governo per contrastare la crisi economica seguita alla pandemia. Già tutto questo giustificava l’attenzione particolare alla circostanza. Soprattutto a come si è arrivati a prendere le decisioni: la sostanza del decreto Sostegni, la sua posta complessiva di 32 miliardi, la destinazione della gran parte di essi a imprese e partite Iva, il superamento dei codici Ateco che non hanno funzionato nei provvedimenti di Conte, la caratteristica di un intervento ancora in gran parte «a pioggia», erano tutti elementi noti già prima del Consiglio dei ministri di ieri. Quella era la coperta autorizzata dal Parlamento in gennaio quando varò l’extradeficit di 32 miliardi e più o meno questa si sapeva che sarebbe stata la suddivisione dei pani e dei pesci. Che non basta, riconosce il presidente del Consiglio, ma che «rappresenta il massimo che si può fare in questo momento», e poi, probabilmente in aprile, seguirà un altro scostamento di bilancio di entità ancora non decisa.

Questo, dice Draghi, è il momento in cui lo Stato i soldi li dà, non li chiede; poi verrà il momento di occuparsi del debito, delle compatibilità europee, del Patto di stabilità che certo non sarà più quello che era fino a che non è scoppiata la pandemia. Ma, ripetiamo, anche questo era noto: i partiti, soprattutto il M5S, avevano già anticipato che il governo in aprile si presenterà di nuovo alle Camere con una ulteriore richiesta di sfondamento del deficit e dunque del debito.

Tutto ciò assodato, la tensione politica si è concentrata su un elemento nella sostanza minore - lo stralcio delle cartelle esattoriali equivale più o meno a 300 milioni di spesa – ma che pure ha occupato il negoziato politico per l’intero pomeriggio ritardando la riunione del Consiglio dei ministri. Perché? Perché su quelle cartelle dell’Agenzia delle Entrate uno dei partiti che sostengono il governo, la Lega, aveva piantato la sua «bandierina identitaria», come l’ha definita Draghi, con un tambureggiare salviniano che va avanti da settimane, dichiarazione dopo dichiarazione, ogni giorno «a difesa di chi non ce la fa». Fatalmente è scattata la reazione a questo protagonismo leghista da parte di quanti viceversa vedevano nello stralcio delle cartelle una sanatoria mascherata, un condono sottobanco per chi non ha pagato le tasse non durante, ma prima della pandemia (e questa era la tesi di LeU e, in parte, del Pd). Il tira e molla è durato ore e alla fine si è arrivati a mezza strada: lo stralcio c’è ma non per tutti e comunque a certe condizioni di reddito, e per il resto si vedrà di fare una riforma dei crediti inesigibili. Draghi ha detto che questa discussione è stata per lui «una prima esperienza molto utile»: dopo aver battagliato con tedeschi e olandesi per anni, ora l’ex presidente della Bce deve vedersela con le impuntature della Lega o di LeU. E sembra che ci si sia messo di buon grado, con molta consapevolezza del suo ruolo di mediatore, molto diverso da quello che capitò a Mario Monti quando affrontò la crisi finanziaria del 2011. All’epoca i provvedimenti furono imposti dal governo tutto tecnico a dei partiti inebetiti e impauriti; oggi quegli stessi partiti esigono il loro dividendo politico, e Draghi è disposto a concederlo «vedendo quale bandierina è utile al Paese e quale no, quale si può accettare e quale no».

Su un punto però Draghi ha preso più direttamente l’iniziativa, quella della campagna vaccinale: ha messo persone di sua fiducia, ha eliminato pressocché tutti i nominati da Conte e ha ingranato una marcia che già ha raddoppiato le dosi di vaccino giornalmente distribuite e punta a decuplicarle entro maggio. Su quello il bastone decisionista non viene nascosto ma anzi reso visibile.

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