Doppi forni e un bluff
Intanto Conte riapre al Pd

Esiste o non esiste il «doppio forno» dei grillini? Si fanno o non si fanno, a casa Di Maio, delle trattative in parallelo coi democratici e con i leghisti? Qualunque sia la risposta, Giuseppe Conte ha fatto la sua scelta e ha detto un «no» netto, senza appelli, alla Lega di Matteo Salvini. Dunque il presidente del Consiglio dimissionario si è messo a disposizione di una sola ipotesi di governo, quella con i democratici. Posizione interessante che delinea un uomo non per tutte le stagioni e che non fa un passo indietro rispetto alla durissima reprimenda pronunciata in Senato nei confronti di Salvini. All’epoca quelle parole furono interpretate come un messaggio implicito al Pd: sto contro Matteo, dunque posso ancora avere un ruolo in una coalizione diversa.

Zingaretti però ha risposto picche, ha chiesto «discontinuità» e ha sbarrato la strada ad un suo ritorno sulla scena. Ora Conte sembra dare un’altra prova di vicinanza al Pd nel mentre chiude definitivamente con i leghisti. Basterà? Difficile. Luigi Di Maio ha posto al Pd proprio il nome di Conte come pregiudiziale: senza di lui a Palazzo Chigi - ha intimato - non si fa nessun accordo, non nasce nessun governo. Il Pd ha rifiutato e la trattativa è andata in stallo. Ora l’intervento da Biarritz di Conte in prima persona probabilmente serve a rifar partire la macchina.

E tuttavia proprio in questo momento di stallo si riaccendono le possibilità di un nuovo dialogo dei grillini con la Lega, per quanto possa sembrare impossibile, ma si sa: in politica nulla è impossibile, tantomeno le spericolate piroette di queste settimane, quelle che si sono meritate la condanna di un uomo pur navigatissimo come Silvio Berlusconi. I segnali che il fuoco nel forno leghista si sia riacceso sono tanti: l’allargarsi di un fonte pro-Salvini nel M5S (anche l’influente sottosegretario Buffagni, uomo delle nomine, si schiera ora da questa parte) che va in parallelo con la bruciante polemica di iscritti e militanti che urlano dai social «mai con il Pd», anzi: «mai con il partito di Bibbiano» come lo stesso Di Maio ha definito i suoi possibili alleati di oggi proprio poche settimane prima che si aprisse la crisi con Salvini. Piuttosto che fare un governo insieme ai democratici i militanti chiedono di andare a votare, succeda quel che deve succedere o, in subordinata, sembrano preferire addirittura tornare ad annodare il dialogo con il mai amato Salvini.

Sull’altro fronte, che i contatti siano ripresi (oppure mai interrotti) lo dice un uomo molto vicino a Salvini, il ministro dell’Agricoltura Centinaio, esponente di quell’elettorato del Nord che rimprovererebbe proprio ad una tattica sbagliata del leader leghista la nascita del governo «più a sinistra della storia repubblicana» (per citare ancora Berlusconi) quale sarebbe quello formato da Pd-M5S e magari anche una parte di Leu. Naturalmente siamo nell’ambito di una trattativa, per dir così, commerciale: ognuno ha i suoi bluff da giocare e tutti probabilmente lo stanno facendo. Se il no irrevocabile a Conte è, per esempio, il bluff di Zingaretti (poco convinto di fare un governo con Di Maio e molto più incline ad andare alle urne), proprio le ultime parole del presidente del Consiglio dimissionario potrebbero scoprirlo.

Allo stesso tempo il bluff di Salvini potrebbe essere proprio l’offerta a Di Maio della presidenza del Consiglio: sarebbe un modo per indurre il grillino a voltare le spalle al Pd salvo poi chiudergli in faccia la porta e andare alle elezioni, il vero obiettivo di Salvini: raccogliere la maggioranza relativa dei voti e fare un governo da solo o quasi. Siamo nelle acque torbide delle transazioni in questo momento: manca molto prima che Mattarella riceva quella parola «chiara» che ha richiesto ai partiti.

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