Dopo tanto dolore la speranza non va delusa

MONDO. Fragilissima, ma pur sempre tregua. La felicità con la quale è stata accolta la sospensione dei bombardamenti a Gaza e la liberazione dei primi tre ostaggi (tutte donne) israeliani dice quanto grandi siano il terrore e il dolore seminati dal 7 ottobre 2023 ad oggi.

È vero che la data famigerata va inserita in una storia secolare del conflitto, ma rappresenta un discrimine. Infatti è diffusa sia fra gli israeliani che fra i palestinesi la definizione «prima, dopo», a segnare due epoche divise da un punto di svolta, quel sabato di 470 giorni fa quando i miliziani di Hamas penetrarono dalla Striscia e uccisero 1.200 persone, prendendone altre 285 in ostaggio. L’8 ottobre successivo Benjamin Netanyahu non disse solo «distruggeremo Hamas» ma anche «trasformeremo Gaza in un’isola deserta, Israele si vendicherà in modo poderoso». Ed è stato di parola.

Su Gaza è stata «una delle campagne aeree più letali di questo secolo»

Secondo un’inchiesta del «New York Times», quella su Gaza è stata «una delle campagne aeree più letali di questo secolo», compiuta su una delle aree più popolate al mondo con 5.600 abitanti per km quadrato (con questa densità l’Italia avrebbe 1,7 miliardi di residenti). Il quotidiano americano è arrivato a questa conclusione: «Israele ha adottato metodi fallaci per individuare gli obiettivi e valutare il rischio di vittime civili, omettendo regolarmente di condurre revisioni successive o di punire ufficiali per illeciti». L’esito sono state migliaia di vittime (47mila secondo il ministero della Sanità di Hamas), oltre 100mila feriti, migliaia di dispersi e 1,9 milioni di sfollati: il 90% della popolazione, per il 40% minorenne. Secondo l’Onu il 69% degli edifici della Striscia è stato distrutto (245.123 unità abitative, ma anche scuole e solo 17 su 36 ospedali avrebbero ancora reparti in funzione) producendo 42 milioni di tonnellate di macerie. E poi fame, carenza di farmaci e sopravvivenza al freddo.

Hamas arriva alla tregua con i vertici militari e politici sostituiti dopo l’uccisione dei predecessori e con l’arruolamento di altri miliziani al posto di quelli decimati nella Striscia

Il 7 ottobre 2023 per gli israeliani ha rappresentato anche un immenso choc psicologico: si sono scoperti tragicamente vulnerabili nel proprio territorio, incrinando la percezione della sicurezza militare. La tregua siglata ricalca quella cassata nel novembre 2023, nel frattempo l’esercito dello Stato ebraico ha indebolito gli Hezbollah libanesi, l’Iran e occupato una parte del Golan siriano dopo la caduta del regime di Assad. Hamas arriva alla tregua con i vertici militari e politici sostituiti dopo l’uccisione dei predecessori e con l’arruolamento di altri miliziani al posto di quelli decimati nella Striscia. Senz’altro meno armata ma è pur sempre l’interlocutore con cui Israele ha trattato in Qatar per sospendere i combattimenti, seppur attraverso intermediari. Del resto Hamas regna incontrastata a Gaza dal 2007, dopo che con la forza espulse l’Autorità nazionale palestinese.

Il ruolo di Trump

Si potrebbero aggiungere altre considerazioni sulle prospettive del conflitto, sui cambiamenti possibili con l’insediamento (oggi) di Donald Trump alla Casa Bianca e sul ruolo dei Paesi arabi. Ma intanto va rimarcata l’importanza della tregua. Papa Francesco ha ringraziato i mediatori, chiesto il rispetto dell’accordo ed ha espresso l’auspicio che «con l’aiuto della comunità internazionale» si possa «raggiungere la giusta soluzione per i due Stati. Tutti possano dire sì al dialogo, sì alla riconciliazione, sì alla pace». È nella volontà a quei «sì» che andranno misurati i fatti nei prossimi mesi.

Pizzaballa: situazione ancora molto fragile

Il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, profondo conoscitore della Terra Santa dove vive dal 1990, ha definito la situazione «ancora molto fragile, ma questa era comunque una svolta necessaria. La speranza è che sia il primo passo e che ora si apra un contesto che porti a prospettive nuove e risolva il conflitto attraverso il negoziato. La pace vera, purtroppo, avrà bisogno di tempi più lunghi: la fine della guerra non è la fine del conflitto». Sarebbe drammatico tradire la speranza innescata dalla tregua, un ulteriore salto nel buio di un conflitto fra due popoli destinati a vivere vicini.

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