L'Editoriale
Giovedì 20 Maggio 2021
Dopo Mattarella
Nomi e intrighi
Sergio Mattarella ha decisamente e puntigliosamente aperto la partita per la sua successione. Lo ha fatto ripetendo ancora una volta – almeno la terza – che non è disposto ad accettare la rielezione che molti gli propongono. «Sono vecchio, tra otto mesi mi riposerò» ha detto ai ragazzi di una scuola romana. Fuori di questo particolare personale tutto sommato non così fondamentale (Mattarella ha ottant’anni, Napolitano quando fu rieletto ne aveva ben otto di più), tempo fa ricordò che il suo predecessore Antonio Segni aveva proposto «l’immediata non rieleggibilità di un presidente» e che lui condivideva quella norma mai inserita in Costituzione. E infine, quando Piero Angela, ricevuto qualche giorno fa al Quirinale per un’onorificenza, gli ha detto: «Presidente, mi ascolti, si faccia rieleggere», Mattarella non ha risposto ma ha eloquentemente alzato le mani. Più chiaro di così.
Dunque, rimane deluso e deve rivedere i suoi piani chi pensava di lasciare l’attuale Capo dello Stato al Quirinale oltre il prossimo febbraio almeno per completare la legislatura che scade nel 2023 e mantenere Mario Draghi a Palazzo Chigi per attuare il piano di sostegno europeo da 200 miliardi e poi eventualmente farlo salire al Colle tra gli squilli di tromba. Per quanto non ci siano tracce che il segretario del Pd Letta coltivasse questa intenzione, è abbastanza intuibile che sarebbe (stato) il miglior piano per i democratici e per i grillini, consentendo loro di rimettersi in forze e magari provare a organizzare una vera e propria coalizione di centrosinistra. Adesso, se si vuol mantenere Draghi al governo bisogna pensare ad un altro nome per la Poltronissima. Già, ma chi?
Il piano di Salvini è del tutto opposto e un po’ troppo esplicito per durare a lungo in una partita complicata e di lunga lena come quella del Quirinale. Il capo leghista vorrebbe spedire Draghi al Quirinale alla scadenza naturale del settennato mattarelliano lasciando così libero Palazzo Chigi e quindi andare velocemente ad elezioni anticipate di un anno. Questo consentirebbe vari risultati: primo, impedire al Pd e M5S di passare il guado in mezzo al quale si trovano; secondo, bloccare per tempo il possibile «sorpasso» che Giorgia Meloni sta provando a fare sulla Lega per conquistare il primo posto tra i partiti italiani. Gli ultimi sondaggi danno Fratelli d’Italia sopra d’un soffio il Pd, quindi al secondo posto e ad un punto e mezzo dalla Lega: ancora un anno di opposizione pura e dura e il gioco potrebbe rivelarsi più facile del previsto. Ecco perché Salvini ha fretta: a febbraio infatti potrebbe essere ancora lui il candidato del centrodestra alla presidenza del Consiglio.
Sempre naturalmente che Forza Italia non si metta in mezzo: il partito di Berlusconi soffre dell’assenza del suo padre carismatico, della lotta tra le correnti interne e soprattutto del calo elettorale (ha perso otto punti dalle ultime politiche), ma ha ancora una certa forza di interdizione, soprattutto in questo Parlamento. Certo, pensare che i berlusconiani possano allearsi ai grillini, oltre che ai democratici, per eleggere il nuovo Capo dello Stato, non è cosa semplice: però ormai siamo abituati alle trasversalità più spregiudicate. Bisognerebbe però rispondere alla domanda già posta: chi al Colle? C’è un nome che si prepara nel silenzio. È un uomo della Prima Repubblica ma anche del centrodestra della Seconda, ha ricoperto la terza carica dello Stato, è un cattolico rispettato dai laici, è largamente stimato in Parlamento, con i grillini non ha cattivi rapporti (la sua presidenza della commissione Banche ai tempi del caso Etruria-Boschi non fu mai contestata dal M5S), e da tempo ha perso il carattere di «uomo di partito». Infine ha una vasta rete di rapporti internazionali che cura da sempre con meticolosità andreottiana. Insomma: non sono pochi a pensare che alla fine potrebbe spuntare il nome di un «rieccolo» di lusso: Pier Ferdinando Casini. Sarebbe, dopo Mattarella, un altro democristiano.
© RIPRODUZIONE RISERVATA